Il Tribunale di Milano, nella persona del Pres. Bianca La Monica, con sentenza del 16.12.2009 ha deciso circa una richiesta risarcitoria per i danni subiti da una minore per fatti di violenza sessuale subiti da un “branco di ragazzi” nel periodo compreso tra il settembre del 2001 e il gennaio del 2003.
Dopo aver premesso il consolidato orientamento della Corte di Cassazione che ha in “qualche modo relativizzato il concetto di violenza sessuale, rapportandolo alla vittima e ritenendo sussistente la violenza tutte le volte in cui la vittima si trovi in una situazione di soggezione, di difficoltà, di diminuita resistenza”, il Tribunale ha precisato che il quadro probatorio ha confermato, senza ombra di dubbio, che i fatti di violenza siano stati effettivamente commessi.
“… a nulla può rilevare – prosegue il Giudice – la prospettiva difensiva dei convenuti che hanno sottolineato alcuni comportamenti di Y., e in special modo alcuni messaggi hard, per così dire, spediti dal suo cellulare o il suo abbigliamento provocante, o ancora il fatto di avere avuto (“consenziente”) un rapporto sessuale con S.D.L.
Al riguardo, si osserva subito – e trattasi di considerazione tombale, per così dire – che qualsiasi “consenso” (che volesse trarsi da quei comportamenti) del minore infraquattordicenne sarebbe giuridicamente irrilevante”.
La questione della responsabilità dei genitori dei minori convenuti richiede al Tribunale qualche considerazione sull’articolo 2048 c.c. e sul contenuto della prova liberatoria individuata da quella norma nel “…non aver potuto impedire il fatto”.
L’art. 2048 del Codice Civile così recita: “Il padre e la madre, o il tutore, sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei figli minori non emancipati o delle persone soggette alla tutela, che abitano con esse.
I precettori e coloro che insegnano un mestiere o un’arte sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei loro allievi e apprendisti nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza.
Le persone indicate dai commi precedenti sono liberate dalla responsabilità soltanto se provano di non aver potuto impedire il fatto”.
Sicché – spiega il Giudice – solo la dimostrazione di aver bene vigilato sul minore e di avergli impartito un’educazione normalmente sufficiente ad impostare una corretta vita di relazione in rapporto al suo ambiente, alle sue abitudini, alla sua personalità, a correggere “…comportamenti non corretti e quindi meritevoli di costante opera educativa, onde realizzare una personalità equilibrata, consapevole della relazionalità della propria esistenza e della protezione della propria e della altrui persona da ogni accadimento consapevolmente illecito…” (Cass. 9556/2009) permette al genitore di andare esente la responsabilità per i danni cagionati dai fatti illeciti dei figli minori.
Nel caso di specie – osserva il Magistrato –, tenendo conto dell’età dei minori coinvolti e della natura degli illeciti commessi, deve farsi riferimento non alla culpa in vigilando, ma a quella in educando, e quindi è sul significato dell’educazione che occorre soffermarsi, considerando che “ educazione” è concetto che va riempito di contenuti che certamente variano nel tempo.
L’educazione sessuale di un bambino e di un ragazzo non si esaurisce nelle spiegazioni tecniche, prima, e nelle indicazioni precauzionali, dopo, ma deve connotarsi, innanzitutto, come educazione al rispetto dell’atra/o, come educazione alla relazione non con altro corpo, ma con altra persona.
Di questa educazione dei sentimenti e delle emozioni, che consente di entrare in relazione non solo corporea con l’altro, non vi è traccia nel comportamento dei minori. Un evidente riscontro è rinvenibile proprio nel racconto della complessiva vicenda offerto dai giovani che hanno riferito gli episodi in modo asettico, con parole non espressive di emotività, usando per Y. termini come prendere, portare…, e comunque espressioni che evidenziano come nessuna considerazione vi fosse per la persona Y.
Però gli stessi ragazzi, quando sono stati sollecitati dall’interrogante in ordine all’impatto su Y. della loro condotta, hanno mostrato barlumi di consapevolezza e di empatia, mettendo in gioco, in quei momenti, anche qualche emozione: ciò conferma l’importanza di un’educazione anche dei sentimenti.
Tanto premesso, osserva il Tribunale che le molteplici, ma generiche circostanze dedotte a prova da tutti i genitori (finalizzate a confermare il corretto comportamento dei figli nei contesti scolastici e amicali, i buoni o sufficienti risultati scolastici, l’educazione nel rispetto delle persone e dei valori cristiani propri della cultura occidentale; l’avvenuta frequentazione delle lezioni di educazione sessuale a scuola; la non dimostrazione da parte di alcuni di particolare interesse verso il genere femminile anteriormente ai fatti di causa; l’avere, altri, già avuto relazioni sentimentali; il rispetto dell’orario di rientro a casa… ) non sono comunque circostanze idonee a contrastare l’evidente carenza o inefficacia di un’educazione al rispetto dell’altro, all’attenzione ai sentimenti e desideri altrui.
Si intende dire – prosegue la sentenza – che i fatti sottoposti alla valutazione di questo Tribunale sono tali da rendere palese che se messaggi educativi vi sono stati, non sono stati adeguati o non sono stati assimilati, sicché deve ritenersi che da parte dei genitori non sia stata prestata, dovuta attenzione all’avvenuta assimilazione da parte dei figli dei valori trasmessi. E, in particolare, trattandosi di figli pre-adolescenti o adolescenti, non è stata dedicata cura particolare – tanto più doverosa in presenza di opposti segnali provenienti da una diffusa cultura di mercificazione dei corpi – a verificare che il processo di crescita avvenisse nel segno del rispetto del corpo dell’atra/o.
In definitiva – si legge – ritiene questa giudicante che i fatti lesivi commessi dai minori ai danni di Y.Z. siano riconducibili ad oggettive carenze nell’attività educativa e/o nel monitoraggio della stessa e che non risultando offerta da alcuno dei genitori coinvolti la prova liberatoria come sopra intesa, tutti debbano rispondere civilmente per i danni derivanti dagli illeciti commessi dai figli.