Pubblicato sul sito www.7giorni.info
Egregio Avvocato,
sono un medico. Ho avuto modo di leggere sul suo sito alcuni commenti relativi a sentenze in tema di consenso informato. Potrebbe darmi qualche suggerimento pratico per una corretta informazione al paziente e una valida acquisizione del consenso?
Martina
Gent.le Dottoressa,
la Sua cortese domanda ci introduce ad un argomento di scottante attualità.
La Carta Costituzionale italiana (art. 2 e 13) sancisce il diritto all’autodeterminazione dell’individuo quale principio generale, negando – ai sensi dell’art. 32, II comma – sia l’esistenza di un dovere giuridico di curarsi sia la possibilità di effettuare trattamenti sanitari a prescindere dalla volontà del paziente: quest’ultimo, infatti, deve essere inteso quale UNICO arbitro delle scelte che lo riguardano.
Ma per poter decidere, il paziente DEVE essere messo in condizioni, da parte del sanitario che lo ha in cura, di capire a cosa sta andando incontro, “La formazione del consenso presuppone una specifica informazione su quanto ne forma oggetto (si parla, in proposito, di consenso informato), che non può che provenire dallo stesso sanitario cui è richiesta la prestazione professionale. L’obbligo di informazione da parte del sanitario assume rilievo nella fase precontrattuale, in cui si forma il consenso del paziente al trattamento o all’intervento, e trova fondamento nel dovere di comportarsi secondo buona fede e nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto (1337 c.c.)” (Suprema Corte di Cassazione 3046/97).
Da qui l’importanza fondamentale riconosciuta anche da altri numerosi documenti sia a livello nazionale che a livello internazionale al c.d. “consenso informato” accordato dal paziente, che non si riduce a un mero vezzo dottrinario o peggio ancora all’espletamento di un passaggio di natura meramente burocratica, adempiuto con la sottoscrizione di un modulo prestampato contenente informazioni buone per qualsiasi intervento chirurgico, ma rappresenta l’imprescindibile presupposto di un qualsiasi trattamento sanitario.
Di tale avviso è la Carta di Nizza (art., 3, Diritto all’integrità della persona); la Convenzione di Oviedo del 04.04.1997 per la protezione dei diritti dell’uomo e della dignità dell’essere umano nei confronti delle applicazioni della biologia e della medicina (Cfr. art. 5, Regola generale e art. 6, Protezione delle persone che non hanno la capacità di dare consenso), nonché – ultimo, ma, certamente, non meno importante (dal momento che si tratta di documento che dovrebbe essere ben noto a tutti gli operatori medici), dall’art. 33 del Codice Deontologico dei Medici Chirurghi ed Odontoiatri del 16 dicembre 2006 (Capo IV, Informazione e consenso), che recita “Il medico deve fornire al paziente la più idonea informazione sulla diagnosi, sulla prognosi, sulle prospettive e sulle eventuali alternative diagnostico-terapeutiche e sulle prevedibili conseguenze delle scelte operate. Il medico dovrà comunicare con il soggetto tenendo conto delle sue capacità di comprensione, al fine di promuoverne la massima partecipazione alle scelte decisionali e l’adesione alle proposte diagnostiche terapeutiche. Ogni ulteriore richiesta da parte del paziente deve essere soddisfatta…”
In tal senso, risulta, oggi, fugato ogni rilievo in ordine all’importanza e al valore dell’obbligo di informazione, la cui violazione integra fonte autonoma di responsabilità, “la responsabilità del sanitario (e di riflesso della struttura per cui agisce) per la violazione dell’obbligo del consenso informato discende dalla tenuta della condotta omissiva di adempimento dell’obbligo di informazioni circa le prevedibili conseguenze del trattamento cui il paziente venga sottoposto e dalla successiva verificazione, in conseguenza dell’esecuzione del trattamento stesso […]. La correttezza o meno del trattamento non assume alcun rilievo ai fini della sussistenza dell’illecito per violazione del consenso informato, in quanto è del tutto indifferente ai fini della configurazione della condotta omissiva dannosa e dell’ingiustizia del fatto, la quale sussiste per la semplice ragione che il paziente a causa del deficit di informazione, non è stato messo in condizione di assentire al trattamento sanitario con una volontà consapevole delle sue implicazioni” (Cass. 14 marzo 2006 n. 5444; Cfr. altresì, Cass. 6 ottobre 1997 n. 9705; Trib. Milano 14 maggio 1998, in Resp. Civ. prev. 1999, 487) “… il paziente comunque non è posto in condizione di assentire al trattamento, consumandosi nei suoi confronti una lesione di quella dignità che connota l’esistenza nei momenti cruciali della sofferenza fisica e/o psichica” (Cass. 28 luglio 2011 n. 16543; Cfr. altro precedente conforme: Cass. 09 febbraio 2010 n. 2847).
Ma entriamo nel vivo della materia trattata e cerchiamo di capire l’effettiva portata del dovere di informazione, un territorio dominato da un incessante lavoro giurisprudenziale, che, nel tempo, ha ritenuto che un consenso per essere considerato un atto cosciente di autodeterminazione del paziente esprimente la sua libera e piena volontà in merito alle cure diagnostiche e, di conseguenza, quale presupposto che legittima il medico nella scelta del percorso diagnostico-terapeutico deve essere personale, legittimo, informato, consapevole e non condizionato.
In particolare, con riferimento al terzo e al quarto elemento essenziale sopra richiamati, viene delineato una sorta di “esalogo” dei doveri informativi del medico nei confronti del paziente, che, nello specifico, deve essere edotto (Cfr. “Il consenso informato del paziente al trattamento sanitario” a cura di Simona Cacace in “Danno e Responsabilità” 3/2007, pagg. 283 ss.):
1) della natura dell’intervento chirurgico cui andrà a sottoporsi;
2) della portata e dell’estensione dei risultati ottenibili;
3) della possibilità e probabilità dei risultati conseguibili con l’intervento;
4) dei rischi prevedibili dell’intervento inclusi quelli con scarsa probabilità statistica di verificazione. Assume rilevanza, in proposito, l’importanza degli interessi e dei beni in gioco, non potendosi consentire, tuttavia, che, in forza di un mero calcolo statistico, il paziente non venga edotto di rischi, anche ridotti, che incidano gravemente sulle sue condizioni fisiche o, addirittura, sul bene supremo della vita (Cfr. Suprema Corte di Cassazione 3046/97). Non solo. Con riferimento a tale aspetto, Cass. 24742/2007 ha precisato che “La responsabilità del medico per violazione dell’obbligo contrattuale di porre il paziente nella condizione di esprimere un valido ed effettivo consenso informato è ravvisabile sia quando le informazioni siano assenti od insufficienti sia quando vengano fornite rassicurazioni errate in ordine all’assenza di rischi o complicazioni derivanti da un intervento chirurgico necessariamente da eseguirsi, estendendosi l’inadempimento contrattuale anche alle informazioni non veritiere“;
5) della situazione concreta della struttura ospedaliera dove viene eseguito l’intervento in rapporto alle dotazioni e alle attrezzature e al loro regolare funzionamento, in modo che il paziente possa non soltanto decidere se sottoporsi o meno all’intervento, ma anche se farlo in quella struttura ovvero chiedere di trasferirsi in un’altra (Cfr. Cass. 16 maggio 2000 n. 6318);
6) dei rischi specifici connessi a possibili scelte alternative, in modo che il paziente con l’ausilio tecnico scientifico possa determinarsi verso l’una o l’altra delle scelte possibili attraverso una cosciente valutazione dei rischi relativi e dei corrispondenti vantaggi.
Praticamente, e riassumendo, Le consiglio vivamente di:
1) informare personalmente il paziente che sta curando o sottoponendo a trattamento (è risaputo in giurisprudenza che il consenso DEVE ESSERE ACQUISITO DAL MEDICO CHE REALIZZA L’INTERVENTO altrimenti è INVALIDO – Cfr. Suprema Corte di Cassazione 3096/1997 –);
2) non utilizzare moduli prestampati generici e sintetici (“Il medico viene meno all’obbligo di fornire una valida informazione anche quando ritenga di sottoporre al paziente, perché lo sottoscriva, un modulo del tutto generico, dal quale non sia possibile desumere con certezza che il paziente abbia ottenuto in modo esaustivo le suddette informazioni” Cass. 08 ottobre 2008 n. 24791);
3) acquisire il consenso per iscritto (… “è il medico gravato dall’onere della prova di aver adempiuto l’obbligazione di informazione” Cass. 19 maggio 2011 n. 11005);
4) fornire tutte le informazioni più puntuali e complete sulla natura del trattamento, sulle possibili scelte alternative, sulla portata dei risultati ottenibili e sulle complicanze e rischi prevedibili (anche i meno frequenti).