Pubblicato sul sito www.7giorni.info
Egregio Avvocato,
scrivo in qualità di studentessa di giurisprudenza, con un dubbio circa la comunione legale. Se l’art. 179 cc fa riferimento al fatto che non rientrano in comunione “i beni acquistati con il prezzo del trasferimento dei beni personali […]” che ne è, invece, dei soldi ricavati dalla vendita di un bene personale? In altri termini, possono i soldi ricavati dalla vendita di un bene personale e depositati presso il conto corrente del singolo coniuge proprietario del bene, essere considerati “frutti” al momento dello scioglimento del matrimonio, ed essere per questo divisi tra i due coniugi laddove residuino sul conto corrente al momento dello scioglimento?
Marina
Gentile lettrice,
per rispondere al quesito che mi ha gentilmente posto, è doveroso, innanzitutto, chiarire che con il termine “frutti civili” di un bene ex art. 820 del Codice Civile si intendono “quelli che si ritraggono dalla cosa come corrispettivo del godimento che altri ne abbia” (interessi sui capitali, rendite, canoni di locazione, etc.).
In tale categoria, pertanto, non è annoverabile il prezzo di una vendita, che non consiste in qualcosa che il bene dà rimanendo tale, ma che sostituisce il bene stesso.
Pertanto, certamente, non sarebbe corretto qualificare il corrispettivo per il trasferimento di un bene un frutto ex art. 177 lett. b), oggetto di comunione legale.
La sua domanda, in ogni caso, presenta degli spunti interessanti e si inserisce fra quei (numerosi) quesiti che la quotidianità ci pone, ma che non trovano risposte immediate nei codici ovvero, più in generale, nella normativa vigente.
Per questo nonostante il nostro, come ci insegnano all’università, sia un paese di civil law , quindi, basato su un diritto scritto, il ruolo svolto dalla giurisprudenza per colmare i naturali vuoti normativi è fondamentale, anche se, talvolta, può offrire svariate soluzioni al medesimo problema.
Con riferimento al caso che ha sottoposto alla mia attenzione, mi permetto di suggerirLe la lettura della sentenza della Corte di Cassazione, sez. I, 20 gennaio 2006 n. 1197, che, prendendo le mosse da un decisione assunta in sede penale ha precisato: “Vero è che una pronuncia della Corte di Cassazione penale (sentenza 13 novembre 1997; depositata il 23 gennaio 1998; Airoldi) ha statuito che [“anche il denaro depositato in un istituto bancario è oggetto della comunione in via assoluta al sensi dell’art. 177 c.c., comma 1, lettera c), senza che possa ammettersi una prova contraria a norma dell’art. 195 cod. civ., ultima parte, sia che provenga dall’attività di uno solo dei coniugi sia che provenga dalle singole attività dei due coniugi”], ritenendo di conseguenza legittimo il provvedimento di sequestro conservativo avente ad oggetto la metà dei valori esistenti in conti correnti e depositi intestati esclusivamente al coniuge dell’imputato. Ma la giurisprudenza dalla Cassazione civile segue un indirizzo diverso. La sentenza della 5^ Sezione 1 aprile 2003, n. 4959 – sulla premessa che [“la comunione legale tra coniugi di cui all’art. 177 cod. civ. riguarda gli acquisti, vale a dire gli atti implicanti l’effettivo trasferimento della proprietà di un bene o la costituzione di diritti reali sullo stesso, non quindi i diritti di credito sorti dal contratto concluso da uno dei coniugi, i quali, per la loro natura relativa e personale, pur se strumentali e finalizzati all’acquisto di un bene, non sono suscettibili di rientrare in una comunione legale dei beni” – ha escluso che possa comprendersi nella comunione legale dei beni il contratto di conto corrente concluso con la banca dal coniuge intestatario, essendo detto contratto “fonte, a seguito di saldo attivo, di un diritto di credito spettante esclusivamente a quest’ultimo”]. Ritiene configurabile una comunione de residuo, ai sensi dell’art. 177 c.c., comma 1, lettera a), sui redditi depositati su conto corrente (nella specie, cointestato), Cass., sez. 10, 17 novembre 2000, n. 14897, la quale conferma la decisione di merito che aveva considerato rientranti nella comunione de residuo le somme depositate sul conto cointestato, ritirate prima della separazione ed asseritamente utilizzate per l’attività di impresa del coniuge prelevante. Più di recente, questa Sezione (con la sentenza 27 aprile 2004, n. 8002) ha precisato che [“il regime di cui all’art. 177 cod. civ. viene in realtà ad indirizzarsi sui soli acquisti di beni e non viene ad inerire, invece, all’instaurazione di rapporti meramente creditizi, i quali, ove mai fatti oggetto di cointestazione nell’ambito di un conto corrente bancario, non esorbitano dalla logica di un tal tipo di rapporti e non conoscono, quindi, alcuna preclusione legata al preventivo scioglimento della comunione legale coniugale”]; e, sulla base di queste premesse, ha statuito che: “il denaro ottenuto a titolo di prezzo per l’alienazione di un bene personale rimane nella esclusiva disponibilità del coniuge alienante anche quando esso venga, come nella specie, dal medesimo coniuge depositato sul proprio conto corrente. Questa titolarità non muta in conseguenza della mera circostanza che il denaro sia stato accantonato sotto forma di deposito bancario, giacché il diritto di credito relativo al capitale non può considerarsi modificazione del capitale stesso, ne è d’altro canto configurabile come un acquisto nel senso indicato dall’art. 177 c.c. comma 1, lettera a), cioè come un’operazione finalizzata a determinare un mutamento effettivo nell’assetto patrimoniale del depositante“.
Concludendo, e riassumendo in poche parole l’insegnamento della Cassazione Civile, la risposta alla sua domanda è: no.