Pubblicato sul sito www.7giorni.info
Egregio Avvocato,
Le espongo un problema che ci affligge ormai da tempo relativo ai cattivi odori provenienti dall’appartamento sottostante rispetto a quello in cui viviamo. Si tratta di odori di cucina che, tradizionalmente, vengono tollerati dai più, ma nel nostro caso ci arrecano profondo disturbo e disagio perché la signora che occupa il piano sottostante ha l’abitudine di cucinare ininterrottamente tutto il giorno e fino a tarda sera. Non sappiamo se lo fa per lavoro o cos’altro. La signora tiene le finestre aperte, crediamo per la grande quantità di vapori, esalazioni che si producono e, così, tutti gli odori confluiscono nel nostro appartamento. Sinceramente, non sappiamo cosa cucini. Probabilmente carne di maiale, pollo e pesce, in ogni caso si tratta di odori forti pungenti e nauseanti che – anche se chiudiamo le finestre – penetrano ugualmente in casa nostra, rendendoci la quotidianità un inferno. La vicenda va avanti da anni ed è stata affrontata con educazione sia con i condomini interessati che con l’Amministrazione condominiale, ma senza esito. Le chiediamo se e come possiamo tutelarci.
Lucia
nel prestare riscontro alla Sua gentile domanda, Le segnalo, che per poter fornire una risposta completa sarebbe necessario conoscere nel dettaglio il contenuto del contratto di abbonamento annuale da Lei sottoscritto con la palestra in questione, nonché il contenuto dell’eventuale regolamento al quale Lei ha aderito sottoscrivendo l’abbonamento.
Fermo restando quanto sopra, ad ogni modo, cercherò di rispondere al quesito ragionando per ipotesi. Se il contratto e/o il regolamento da Lei sottoscritti prevedono degli orari predeterminati di apertura e di chiusura della palestra nei giorni feriali, ma con una clausola – come di regola avviene – in cui la direzione della palestra si riserva la facoltà di apportare eventuali modifiche agli orari di apertura e chiusura a propria insindacabile discrezione, le lamentate chiusure del 24 e de 31 dicembre non hanno comportato la violazione di alcun obbligo da parte della palestra e, conseguentemente la violazione di alcun diritto per gli utenti della palestra.
Diversamente, nell’ipotesi in cui le clausole del contratto e del regolamento da Lei sottoscritti prevedano a carico della struttura un obbligo di apertura in tutti i giorni feriali dell’anno, nessuno escluso, senza possibilità per la palestra di modificare e/o cambiare i giorni di apertura e/o gli orari, la palestra si è resa inadempiente perché è venuta meno ad uno degli obblighi contrattuali assunti. A questo punto, a mio parere, Lei potrebbe chiedere alla palestra una sorta di “indennizzo” per non aver potuto usufruire dei servizi cui aveva diritto (e per i quali ha versato la quota di abbonamento annuale) nei giorni di sospensione dell’apertura unilateralmente imposti dalla direzione della palestra stessa.
Le segnalo, inoltre, che la fattispecie che ci occupa ha ad oggetto un contratto a prestazioni corrispettive e, dunque, secondo quanto stabilito dall’art. 1453 del Codice Civile in caso di inadempimento di una parte l’altra può a sua scelta chiedere l’adempimento o la risoluzione del contratto, salvo in ogni caso, il risarcimento del danno. In ogni caso il contratto non si può risolvere se l’inadempimento di una delle parti ha scarsa importanza, avuto riguardo all’interesse dell’altra. Ai fini della risoluzione non è sufficiente che una delle parti del contratto sia semplicemente inadempiente: non ogni imprecisione, ancorché minima, rispetto al programma degli impegni contrattuali conduce alla praticabilità del rimedio in esame. L’art. 1455 cod.civ. infatti precisa che l’inadempimento deve essere di non scarsa importanza alla stregua dell’interesse della parte che lo subisce. Tuttavia non mi pare che nel suo caso si possa profilare l’ipotesi della possibilità di risolvere il contratto, tenuto conto che le chiusure del 24 e del 31 dicembre, ovvero di soli due giorni prefestivi nell’arco di un anno solare, difficilmente potrebbero rappresentare un inadempimento di rilevante importanza.
E, ancora, nel contratto potrebbe essere stata prevista una clausola risolutiva espressa, ovvero potrebbe essere stato previsto che il contratto si risolva nel caso in cui una determinata obbligazione non sia adempiuta secondo le modalità stabilite. Se così fosse, e se fosse stata prevista la clausola risolutiva espressa per il mancato rispetto da parte della palestra dei giorni e degli orari di apertura, la risoluzione in tal caso si verificherebbe di diritto nel momento in cui Lei comunica per iscritto alla palestra che intende avvalersi di detta clausola risolutiva.
Per quanto concerne, invece, la questione relativa al mutamento della palestra da Associazione Sportiva dilettantistica a Società sportiva dilettantistica, anzitutto evidenzio che nel nostro ordinamento nel caso di sport dilettantistico, i sodalizi sportivi possono organizzarsi in una delle seguenti tre forme: 1) associazione sportiva priva di responsabilità giuridica, disciplinata dagli artt. 36 e segg. cod. civ.; 2) associazione sportiva con personalità giuridica di diritto privato, ai sensi del regolamento di cui al D.P.R. 10 febbraio 2000, n. 361; 3) società sportiva di capitali o cooperativa, costituita secondo le disposizioni vigenti, ad eccezione di quelle che prevedono le finalità di lucro.
La differenza sostanziale tra Associazione (non riconosciuta) e Società Sportiva – con personalità giuridica – è sita nella responsabilità degli amministratori nei confronti dei terzi creditori. Nella Società sportiva l’elemento fondante è il capitale finanziario; quindi la responsabilità e’ limitata al patrimonio sociale, a differenza delle associazioni non riconosciute dove gli amministratori rispondono solidalmente anche con il patrimonio personale per i debiti dell’associazione.
L’associazione sportiva dilettantistica non riconosciuta ha una gestione amministrativo/contabile piuttosto “snella”. Non è richiesta una forma particolare per l’atto costitutivo. È molto importante, nel settore sportivo dilettantistico, la valutazione della variabile fiscale in quanto molte agevolazioni richiedono la presenza di determinati prerequisiti che devono sussistere già in fase di costituzione: uno di questi requisiti è la redazione dell’atto costitutivo nella forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata.
La società di capitali sportiva dilettantistica è una figura giuridica normata dall’art. 90 legge n. 289/2002. È stato osservato che si tratta di «una nuova tipologia di società di capitali che si caratterizza per le finalità non lucrative e che si inserisce nell’ordinamento giuridico come una peculiare categoria di soggetti societari. La società di capitali sportiva dilettantistica è, infatti, costituita secondo le disposizioni vigenti, ad eccezione di quelle che prevedono le finalità di lucro. Tale forma giuridica può essere la naturale “evoluzione” di un sodalizio sportivo dilettantistico nato come semplice associazione tra pochi soci, senza strutture patrimoniali, ma che, con adesioni di nuovi soci e con l’ampliarsi delle esigenze dell’attività sportiva svolta, non può più essere gestito tramite le semplici forme amministrative/gestionali dell’associazione. L’incrementarsi di tali attività sportive comporta la movimentazione di disponibilità finanziarie di una certa consistenza, nonché eventuali problematiche di responsabilità civili in caso di eventi dannosi. In tali ipotesi, una forma giuridica quale quella della società di capitali appare più adeguata di quella dell’associazione non riconosciuta.
Gentile lettrice,
in merito al problema che mi ha sottoposto posso esprimermi nei seguenti termini.
L’articolo 844 del Codice Civile recita: “Il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi. Nell’applicare questa norma l’autorità giudiziaria deve contemperare le esigenze della produzione con le ragioni della proprietà. Può tener conto della priorità di un determinato uso”.
Finché le immissioni sono valutabili con strumentazione scientifica, come ad esempio i rumori la cui intensità può essere misurata, dimostrare il superamento della normale tollerabilità è relativamente semplice.
Il problema nasce quando le immissioni non sono misurabili scientificamente, come nel caso di odori, che – fatta eccezione per i gas tossici – non sono percepibili da strumenti.
In tali fattispecie, infatti, il concetto di “normale tollerabilità” assume una connotazione molto soggettiva: ciò che per qualcuno può essere un odore non tollerabile, per altri può essere invece una esalazione sopportabile.
È per questo che spesso, nel timore di non avere strumenti per dimostrare, in un processo, le proprie lagnanze si è portati ad evitare di intraprendere un giudizio.
Tuttavia la sfida, in alcune occasioni, è stata accettata come dimostra l’esistenza di giurisprudenza in argomento.
In materia di immissioni moleste il Giudice può, ed in certi casi deve (data la possibile assenza di altri riscontri), affidarsi a nozioni di comune esperienza ma, alla fine, decide secondo discrezionalità.
Si cita, a solo titolo esemplificativo, la sentenza della seconda sezione della Cassazione Civile, numero 9865 dell’11 maggio 2005 e la massima ricavata dalla sentenza n. 46 del 26 febbraio 2007 emessa dal Tribunale di Montepulciano (che peraltro si rifà ad un’altra sentenza n. 2166 del 31 gennaio 2006 della Cassazione Civile), secondo cui: “La prova dell’intollerabilità delle immissioni può essere data con ogni mezzo anche mediante prove testimoniali”.
Altro indizio che può far presumere il superamento della soglia di tollerabilità, può essere la potenziale presenza di inconvenienti igienico sanitari (anche se solo supposti); ovvero anche la presenza di una norma del regolamento condominiale che dica qualcosa di specifico in argomento.
Ciò detto brevemente, e visto che questa situazione – da quanto leggo – Vi sta esasperando consiglio di denunciare formalmente il fatto all’Amministratore (se non Vi avete già provveduto) e di chiamare i Vigili più volte e in giorni magari ravvicinati affinché escano per fare un sopralluogo e accertino loro stessi l’intollerabilità delle esalazioni, nonché la continuità delle stesse e redigano in merito una relazione di servizio.
Sarebbe, altresì, opportuno avere il parere di un tecnico in merito. Servirà per cristallizzare tale stato delle cose.
Inutile aggiungere che sarebbe oltremodo importante anche avere le testimonianze di vicini che confermino i Vostri assunti.
Raccolte e formate tutte queste prove e certificazioni dovrete affidarvi ad un legale perché dia corso alle iniziative giudiziarie del caso.
Segnalo in merito anche la possibilità di presentare una denuncia querela ai Carabinieri, dal momento che tali comportamenti possono integrare la fattispecie di cui all’art. 674 del Codice Penale.
A riprova di ciò, Vi riporto qui di seguito il passo della sentenza Cass. pen., sez. III, 31 gennaio 2006, n. 3678, per cui: “Anche le emissioni di esalazioni maleodoranti possono integrare il reato di cui all’art. 674 c.p., getto pericoloso di cose, a condizione che presentino un carattere non del tutto momentaneo e siano intollerabili o almeno idonee a cagionare un fastidio fisico apprezzabile (es. nausea, disgusto) ed abbiano un impatto negativo, non necessariamente fisico ma anche psichico, sull’esercizio delle normali attività quotidiane di lavoro e di relazione (es. necessità di tenere le finestre chiuse, difficoltà di ricevere ospiti, ecc.)”.