Per il Tribunale di Milano, Sez. X civile- Giud. Unico Dr.ssa Illarietti, la domanda di risarcimento proposta dai “… prossimi congiunti di [ un signore], deceduto il 23 novembre 2004 a seguito di neoplasia polmonare asseritamente riconducibile al consistente consumo di sigarette operato dal de cuius fino dall’età di 15 anni e quindi a decorrere dal 1965 continuato fino alla data della morte, è fondata e deve essere accolta nei limiti di cui si dirà”.
Per la vedova e i tre figli, il Tribunale ha riconosciuto un risarcimento complessivo di € 776.000,00 per il danno in capo ai congiunti da perdita del rapporto parentale, nonché per il danno da invalidità temporanea patito dal de cuius ed ereditato dagli istanti. Inoltre, agli istanti è stato riconosciuto il diritto a vedersi rimborsate le spese funerarie.
Per il Tribunale di Milano, l’attività di produzione e commercializzazione di sigarette è da considerarsi pericolosa – come aveva già affermato Cass. 26516/2009 – e perciò rientrante nel novero di quanto prescritto dall’art. 2050 cc. : “ Chiunque cagiona danno ad altri nello svolgimento di una attività pericolosa, per sua natura o per la natura dei mezzi adoperati, è tenuto al risarcimento, se non prova di avere adottato tutte le misure idonee a evitare il danno”. Trattasi di una responsabilità oggettiva, temperata dal possibile concorso di colpa del danneggiato.
Si legge in sentenza: “La Suprema Corte (Cass. 26516/09) ha osservato che viene in rilievo quale attività pericolosa anche quella attività finalizzata al commercio e quindi all’uso da parte del consumatore di un prodotto idoneo a produrre i danni nella fase del consumo e che se tale attività sostanzialmente diffonde nel pubblico un rilevante pericolo la stessa deve per sua natura definirsi pericolosa, tanto più se il pericolo che viene in rilievo è quello conseguente all’uso tipico e normale di quel prodotto e non ad uso anomalo.
Ha ulteriormente argomentato che la pretesa conoscenza del rischio e della pericolosità del prodotto sigaretta da parte del consumatore fumatore (pur potendo portare al rigetto della domanda risarcitoria) non è idonea ad escludere la configurabilità della responsabilità del produttore ai sensi dell’art. 2050 c.c.; ha argomentato che la ratio dell’accollo del costo del danno in capo all’esercente tale attività non è la colpa ma un criterio oggettivo. Si tratta di una scelta dell’ordinamento che imputa il costo del danno al soggetto che ha la possibilità della cost benefit analysis per cui deve sopportarne la responsabilità per essersi trovato nella situazione più adeguata per evitarlo nel modo più conveniente.
All’inquadramento della attività di commercializzazione e produzione quale attività pericolosa, discendono, ai sensi del disposto di cui all’art. 2050 c.c. importanti ricadute sugli oneri probatori.
A colui che lamenta il danno compete l’onere di comprovare il nesso causale fra l’assunzione di tabacco e l’evento di danno e al produttore e all’esercente la commercializzazione di sigarette, per andare esente da responsabilità compete l’onere di comprovare di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno …
Nella specie, il produttore distributore di sigarette avrebbe quando meno dovuto fornire adeguate informazioni sulla nocività del fumo, anche eventualmente con foglietti illustrativi posti nei pacchetti e ciò a prescindere da obblighi giuridici, ma in funzione di poter comprovare di aver messo in condizioni i consumatori di sigarette di conoscere inequivocabilmente il rischio correlato alla assunzione del medesimo e di poter in tal modo configurare l’assunzione come libera scelta assunta nella consapevolezza della nocività del prodotto.
Risulta che solo a partire dal 1991, allorché tale obbligo fu previsto dalla legge, la vendita di tabacchi avviene con una esplicita informazione circa la nocività e il carattere letale del fumo …
Considerato che, a fronte della allegazione di parte attrice che il tumore sviluppato fosse primitivamente polmonare, i convenuti negavano tale natura e quindi anche la astratta possibilità della riconducibilità del medesimo alla assunzione di tabacco, il giudice ha disposto CTU medico legale, incaricando un medico legale e un epidemiologo di sicura competenza, di esprimersi sul nesso causale fra l’assunzione di tabacco e la neoplasia polmonare sviluppata …, chiedendo ai medesimi di riferire se detto eventuale nesso causale potesse dirsi sussistente con riferimento all’assunzione di tabacco avvenuta prima del 1991.
Successivamente è stata assunta prova per testi circa i tempi, le modalità l’entità del consumo di tabacco …
Sul punto i testi hanno riferito di conoscere e di aver frequentato il [ il signore deceduto] ancora quando il medesimo abitava a Napoli, nella seconda metà degli anni 60; hanno riferito che era un forte fumatore, che aveva sempre la sigaretta in bocca, che fumava all’incirca 2 pacchetti di sigarette al giorno.
Le dichiarazioni circa il fatto che [ il signore deceduto] fosse un forte tabagista sono state confermate anche dal medico curante.
La dott.ssa [ ] medico di famiglia ha riferito di avere avuto come paziente [ il signore deceduto] dal 1996, e che <<quando l’ho conosciuto era un forte fumatore; fumava oltre un pacchetto e mezzo di sigarette al giorno secondo quanto mi riferiva lui>> osservandosi che il contesto in cui le medesime dichiarazioni del de cuius venivano rese le rende del tutto disinteressate e attendibili.
Ulteriormente risulta dalla annotazione in cartella la condizione di tabagista laddove nella anamnesi fisiologica viene indicata sotto la dicitura fumo: 30-40 sigarette die da 40 anni.
Ciò detto la disposta CTU ha evidenziato che gli accertamenti clinici e strumentali anche in ambito ospedaliero portano a diagnosticare una neoplasia polmonare plurimetastatica; i CTU affrontando il primo punto in discussione ovvero quale fosse la primitività del cancro, hanno argomentato con considerazioni ampiamente sviluppate a p. 11, 12, 12, 14 della relazione peritale cui si rimanda facendo riferimento: a) all’aspetto radiologico dell’addensamento polmonare descritto con le caratteristiche di un primitivo; b) alla circostanza che le metastasi linfonodali sono documentate esclusivamente in sede intratoracica; e) alla circostanza che le valutazioni strumentali mediante TAC toraco addominali con contrasto e a pancolonscopia non riscontrano segni di tumore primitivo in altre sedi; che anche la primitività epatica deve essere esclusa dall’insieme dell’anamnesi e quadro clinico radiologico; analoghe considerazioni per quanto riguarda la vescica e l’apparato digerente per il quadro clinico meglio rappresentato d) alla circostanza che fosse stato riscontrato versamento pericardico e) alla circostanza che i risultati della colonscopia effettuata esclude l’origine intestinale del tumore ipotizzata dal CTP di parte L.; f) alla irrilevanza dei marcatori CEA e CIGA quali indicatori di un tumore extra polmonare per le argomentazioni meglio sviluppate a p. 14. Tali puntuali e precise considerazioni appaiono insuperabili nel confermare la diagnosi di carcinoma primitivamente polmonare formulata dai medici curanti in due diversi sedi (tra cui una autorevole come la clinica Pneumologica Universitaria di Milano).
Nel caso di specie i CTU hanno poi evidenziato come non risultino altri potenziali elementi di rischio cancerogeno collegati allo stile di vita del de cuius attesa la attività lavorativa di impiegato spiegata dal de cuius, sottolineando comunque come altri fattori di rischio (dieta alimentare, inquinamento che sono indicati dai CTP dei convenuti come ugualmente collegati al cancro) per quanto non vi siano elementi per ritenerli sussistenti nel caso de quo sono assai meno importanti rispetto all’abitudine tabagica nella genesi del carcinoma broncogeno (p. 20 e p. 21 rel. peritale).
Quanto all’eventuale predisposizione genetica o familiarità – argomento su cui le parti convenute hanno posto l’attenzione, anche all’esito della produzione documentale del certificato di morte del padre[ del signore deceduto] che, smentendo quanto riferito dai testi di cui sopra si è detto, comprova che il medesimo è morto all’età di 52 anni – si deve osservare che risultando la norma di riferimento per apprezzare il nesso causale, quella di cui all’art. 41 c.p. si deve rilevare che <<il concorso di cause preesistenti e sopravvenute, anche se indipendenti dall’azione o omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra l’azione od omissione e l’evento>>.
Al riguardo i CTU hanno avuto modo di meglio illustrare a p. 18 della relazione peritale cui si rinvia che è pacifico che anche nei tumori in cui è evidente e caratterizzata la derivazione causale da specifici fattori ambientali a questi se ne possono aggiungere altri e con tutti concorrono anche due importanti variabili rappresentate dalla predisposizione genetica e dalla reattività del sistema immunitario, a sua volta in parte geneticamente determinata; peraltro per quanto sopra detto tale corredo genetico, per quanto sopra detto, non è idoneo a far venire meno il nesso causale con l’assunzione di tabacco e la patologia oncologica polmonare di cui si discute.
Deve pertanto ritenersi sussistente il nesso causale fra l’attività di tabagista[ del signore deceduto] e la neoplasia polmonare dallo stesso sviluppata.
La sentenza prosegue nell’affermare : “ I CTU hanno poi evidenziato, venendo a distinguere l’efficacia causale dell’assunzione di tabacco distinguendo fra quella avvenuta dal 1965 al 2004, quella avvenuta tra il 1965 e il 1991 e quella avvenuta tra il 1991 e 2004.
Hanno evidenziato come la durata di esposizione al fumo è il fattore più rilevante nel definire il rischio individuale di sviluppare un carcinoma broncogeno, poiché incidenza (rischio assoluto) sale in base alla quarta quinta potenza della durata di esposizione. Ogni periodo di esposizione ha un ruolo analogo nel rischio cumulativo di tumore al polmone (ovvero come viene spiegato anche nelle repliche, p. 23 ogni anno di fumo ha lo stesso rilievo come un esponente 3-4 sulla successiva incidenza di tumore polmonare) evidenziando che i 26-27 anni in cui [ il signore deceduto] ebbe a fumare prima della entrata in vigore della norma sono per ciò molto più rilevanti dei 13-14 anni del periodo successivo (p. 24 nel peritale) che il ruolo dei primi 26-27 anni di esposizione è circa 20 volte più rilevante rispetto a quello dei successivi 13-14 anni”.
Concludendo, si rileva che la c.d. tabacco litigation che – a differenza di quanto avviene in USA – finora ha avuto poco seguito, potrebbe continuare in Italia a far parlare poco di sé considerando – per quanto osservato dal Tribunale di Milano – che l’apposizione dei caveat ( avvisi sui pacchetti circa la pericolosità del prodotto) dopo l’anno 1991 rappresenta una “ misura idonea ad evitare il danno”, tale da escludere la responsabilità oggettiva del produttore.