La Corte di Cassazione torna ad occuparsi della responsabilità infermieristica e della posizione di garanzia in capo a ogni esercente la professione sanitaria trattando un interessante caso di responsabilità professionale che trae origine da un errore medico nella prescrizione di un farmaco.
Anche se non si verte in un esempio classico di responsabilità di equipe, è di tutta evidenza in questa decisione la stretta intimità di rapporti tra professione medica e professione infermieristica nell’agire quotidiano, nonché il delinearsi in capo alla figura dell’infermiere di un preciso dovere di collaborazione nei confronti del medico, che deve tradursi anche in un’attività di verifica e, se necessario, di segnalazione e di critica, laddove si possano supporre errori a danno di pazienti.
Nella sentenza n. 2192 del 16 gennaio 2015 della Corte di Cassazione, IV Sez. penale, si espone in fatto che :
” Con sentenza resa in data 6/11/2012, il giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale di Busto Arsizio ha pronunciato l’assoluzione di [ X ] e di [ Y [ dall’imputazione relativa al reato di omicidio colposo, dagli stessi asseritamente commesso, in violazione della disciplina relativa all’esercizio della professione infermieristica, ai danni di [ un paziente]...
Agli imputati era stata originariamente contestata la condotta colposa consistita nel cagionare il decesso del[ paziente], avvenuta a seguito della somministrazione allo stesso del farmaco Amplital, .. contenente amoxicillina, cui il [ paziente] era allergico.
In particolare, al [ X ], in qualità di infermiere professionale caposala in servizio presso il reparto di urologia dell’ospedale di […], era stata originariamente contestata la condotta omissiva consistita, da un lato, nel mancato rilievo, per negligenza o imperizia, del contrasto tra la prescrizione medica dell’Amplital e l’allergia del paziente all’amoxicillina e, dall’altro, nella mancata segnalazione di detto contrasto al personale medico.
Viceversa, alla [ Y ], in qualità di infermiera professionale in servizio presso la sala operatoria
dell’ospedale di […], era stato contestato di aver imprudentemente somministrato l’Amplital al [ paziente] nel corso della fase preoperatoria, con la conseguenza che, a seguito di detta assunzione, il paziente era deceduto nel giro di pochi secondi.
Nel pronunciare la propria decisione, il giudice di primo grado ha ritenuto l’insussistenza del nesso di causalità tra il decesso del paziente e le condotte ascritte al [ X ] (assolvendolo per insussistenza del fatto), escludendo altresì ogni profilo di colpa addebitabile alla [ Y ], ritenendo che il fatto alla stessa imputato non costituisse reato.
Con sentenza in data 27/11/2013, su impugnazione del pubblico ministero, la Corte d’appello di Milano, in parziale riforma della sentenza di primo grado, riconosciuta la responsabilità del [ X ] in relazione al reato allo stesso ascritto, lo ha condannato alla pena di sei mesi di reclusione, confermando nel resto la sentenza di primo grado.
Con tale decisione, la Corte d’appello ha evidenziato la concreta sussistenza di una specifica posizione di garanzia in capo al [ X ] in relazione all’incolumità del paziente, tenuto conto, in particolare, della qualifica professionale di vertice rivestita dall’imputato, onerato di precisi doveri sinergici di organizzazione, di gestione, di sovraintendimento e di segnalazione.
Al riguardo, la corte territoriale ha sottolineato l’avvenuta originaria acquisizione, da parte del [ X ], della notizia riguardante l’allergia sofferta dal paziente (per aver partecipato alla relativa intervista,in occasione della preparazione dell’intervento chirurgico),evidenziando la trascuratezza dello stesso nell’omettere di procedere alle dovute segnalazioni ai fini della correzione degli errori contenuti nella documentazione clinica riguardante il [ paziente] (nella quale era stata erroneamente riportata la prescrizione dell’Amplital a scopo terapeutico), e nell’omettere altresì di sottoporre a una nuova verifica, o a un più accurato controllo, detta documentazione clinica, così incorrendo nella condotta antidoverosa contestatagli, in violazione degli obblighi allo stesso imposti dalle regole dell’arte infermieristica.
Avverso l’assoluzione della [ Y ], con atto in data 5/2/2014, ha proposto ricorso per cassazione il procuratore generale presso la corte d’appello di Milano.
A mezzo del proprio difensore, ha altresì proposto ricorso per cassazione il [ X ].
Nelle more, però, decedeva l’infermiera [ Y ].
Nelle considerazioni in diritto della sentenza, fra l’altro, si legge :
“Osserva preliminarmente il collegio come l’avvenuta attestazione del decesso della [ Y ], a seguito della proposizione del ricorso per cassazione del pubblico ministero, imponga, ai sensi dell’art. 129 c.p.p., comma 2 la pronuncia del rigetto del relativo ricorso …
Dev’essere altresì disatteso il ricorso proposto da [ X ] ”
Cosicché la Cassazione conferma la sentenza di condanna inflitta dalla Corte d’appello di Milano ravvisando l’esistenza di un dovere preciso di attendere all’attività di somministrazione dei farmaci in modo non meccanicistico (ossia misurato sul piano di un elementare adempimento di compiti meramente esecutivi), occorrendo viceversa intenderne l’assolvimento secondo modalità coerenti a una forma di collaborazione con il personale medico orientata in termini critici … e precisa, inoltre, che l’obbligo di segnalazione e controllo gravante sul personale ausiliario non ha la finalità di sindacare l’operato del medico (segnatamente sotto il profilo dell’efficacia terapeutica dei farmaci prescritti), bensì quello di richiamarne l’attenzione sugli errori percepiti (o comunque percepibili), ovvero al fine di condividerne gli eventuali dubbi circa la congruità o la pertinenza della terapia stabilita rispetto all’ipotesi soggetta a esame.