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La storia è quella di due coniugi che citarono in giudizio innanzi al Tribunale di Torino, sezione distaccata di Chivasso, l’Azienda Regionale Usl (omissis) di Chivasso e il “medico di base” che a loro dire sarebbe intervenuto in aiuto del paziente che presentava sintomi di ischemia cerebrale con estremo ritardo. La moglie aveva chiamato in mattinata il medico. Tuttavia, questi si presentava  soltanto nel pomeriggio  e – a dire dei due coniugi- prescriveva anche cure del tutto inadeguate.

I coniugi chiedevano, quindi che il medico di base e la Usl venissero condannati entrambi al risarcimento dei danni patiti dai medesimi attori a seguito della paralisi della parte sinistra del corpo della quale era rimasto affetto il paziente, con necessità di assistenza e cure continue.

Si costituirono sia l’Azienza Usl (omissis) di Chivasso, che il “medico di base”, contestando la fondatezza della domanda.

Il Tribunale, premettendo che il comportamento del “medico di base”, nel caso in esame, era da ritenersi caratterizzato da responsabilità colposa dovuta ad intempestività della visita domiciliare; al mancato rilievo delle “gravi condizioni” del paziente e all’omessa urgente sua ospedalizzazione e dal fatto, accertato in sede di CTU, che il tempestivo trattamento farmacologico avrebbe avuto effetti contenitivi del danno alla salute del paziente, condannava in solido il “ medico di base”  e l’Azienda Regionale ASL di Chivasso al risarcimento dei danni patiti dagli attori con sentenza del marzo 2008.

Contro tale decisione, il medico e la l’ASL TO (già ASL di Chivasso) proponevano appello.

I due coniugi resistevano in giudizio.

La Corte di appello di Torino, con sentenza pubblicata in data 22 dicembre 2011, accoglieva il gravame della ASL TO, rigettando la domanda risarcitoria proposta dai coniugi nei suoi confronti, e confermava nel resto la sentenza di primo grado. In altri termini, unico responsabile il “ medico di base”.

La Corte d’appello – ci racconta la Suprema Corte di Cassazione che, come diremo oltre, si è poi occupata del caso – escludeva la responsabilità ai sensi dell’art. 1228 cod. civ. della ASL TO osservando, segnatamente, che: il SSN assume nei confronti dei cittadini obblighi organizzativi, ma non assume, in base alla L. n. 833 del 1978, “un obbligo diretto avente ad oggetto il contenuto della prestazione professionale”; gli artt. 14 e 25 della citata legge n. 833 non sono di per sé fondati “la esistenza di un contratto “a monte” fra il paziente e  l’ASL”, così come lo stesso art. 25 non fonda l’obbligazione della struttura ospedaliera nei confronti del paziente, la quale deriva dalla conclusione del contratto d’opera professionale con lo stesso; non può rendersi concluso un contratto tra ASL e paziente nel momento in cui quest’ultimo chiede la prestazione al suo medico di base, non essendovi alcun contatto, o diretto rapporto, tra la prima ed il secondo (come invece sussiste tra struttura ospedaliera e paziente ivi ricoverato, che beneficia di prestazione sia alberghiera, che professionale).

La Corte torinese escludeva, altresì, che la responsabilità della ASL convenuta potesse fondarsi sull’art. 2049 cod. civ., in assenza della ravvisabilità, anzitutto, di un rapporto di preposizione tra Azienda sanitaria e medico convenzionato, essendo quest’ultimo “un libero professionista del tutto autonomo, scelto dal paziente in piena libertà”, sul quale la stessa ASL non esercita alcun potere di vigilanza, controllo o direzione.

Era da escludere anche la sussistenza di un rapporto di immedesimazione organica, non essendo il medico di base dipendente della ASL, né chiamato “a estrinsecare all’esterno la volontà dell’ente” o soggetto a direttive nell’ambito  della “sua peculiare attività professionale”. L’inserimento del medico di base nell’organizzazione territoriale della ASL si esaurisce, dunque, sul piano organizzativo-amministrativo, ma non tocca “certamente il contenuto squisitamente  professionale della prestazione del medico di base”, che non viene sindacata dalla stessa ASL, non essendovi alcuna norma che attribuisce a quest’ultima “un potere di vigilanza e controllo sul contenuto specifico della prestazione professionale medica del medico di base”.

La Corte di Cassazione, investita della questione, sul punto ha deciso diversamente.

In sintesi si è così pronunciata:

Per legge …” l’assistenza medicogenerica  è prestazione curativa che l’utente del S.S.N. ha diritto di ricevere secondo il livello stabilito dal piano sanitario nazionale e in questi termini, la ASL ha l’obbligo di erogare.

Il diritto soggettivo dell’utente del S.S.N. all’assistenza medico-generica ed alla relativa prestazione curativa, nei limiti stabiliti normativamente, nasce, dunque, direttamente dalla legge ed è la legge stessa ad individuare la ASL come soggetto tenuto ad erogarla, avvalendosi di “personale” medico alle proprie dipendenze ovvero in rapporto di convenzionamento (avente natura di rapporto di lavoro autonomo “parasubordinato”).

Il medico convenzionatoscelto dall’utente iscritto al S.S.N. nei confronti della ASL, in un novero di medici già selezionati nell’accesso al rapporto di convenzionamento e in un ambito territoriale delimitato, è obbligato (e non può rifiutarsi, salvo casi peculiari sorretti da giustificazione e, dunque, sindacabili dalla stessa ASL) a prestare l’assistenza medico-generica, e dunque la prestazione curativa, soltanto in forza ed in base al rapporto di convenzionamento.

Le prestazioni di assistenza medico-generica, che sono parte dei livelli uniformi da garantirsi agli utenti del S.S.N., sono, infatti, finanziate dalla fiscalità generale, alla quale concorrono tutti i cittadini con il versamento di una imposta.

Si viene, dunque, a configurare a carico della ASL una obbligazione ex lege di prestare l’assistenza medicogenerica all’utente del S.S.N., che viene adempiuta attraverso l’opera del medico convenzionato.

In altri termini, posto che l’assistenza medico-generica si configura come diritto soggettivo pieno ed incondizionato dell’utente del S.S.N., questi è “creditore” nei  confronti della ASL, che, in quanto soggetto pubblico ex lege tenuto ad erogare detta prestazione curativa (per conto del S.S.N.), assume le veste di “debitore”.

Il “debitore” ASL, nell’erogare la prestazione curativa dell’assistenza medico-generica, si avvale, poi, di “personale” medico dipendente o in rapporto di convenzionamento.

Da qui, pertanto, in ipotesi di illecito commesso dal medico convenzionato nell’adempimento della prestazione curativa di assistenza medico-generica, l’operatività dell’art. 1228 cod. civ. nei confronti della stessa ASL, quale norma che questa Corte, del resto, ha già ritenuto pienamente applicabile in riferimento alla posizione della struttura sanitaria pubblica per l’attività sanitaria svolta dal personale medico dipendente.

Concludendo, per la Suprema Corte, la  “…ASL è responsabile civilmente, ai sensi dell’art. 1228 cod. civ., del fatto illecito che il medico, con essa convenzionato per l’assistenza medico-generica, abbia commesso in esecuzione della prestazione curativa, ove resa nei limiti in cui la stessa è assicurata e garantita dal S.S.N. in base ai livelli stabiliti secondo la legge”.

Per la prima volta, dunque, viene enunciato il principio per cui la ASL risponde per il fatto del “medico di base”.