La mattina del 22.05.14 una madre di famiglia veniva colta da malore durante la buona abitudine sportiva del fit walking (o camminata veloce) che praticava ogni settimana con un’amica. La signora, ritrovata in coma, veniva trasportata al Pronto Soccorso di zona, e da lì veniva trasferita in “codice rosso molto critico” e per “sospetta emorragia cerebrale” al reparto di rianimazione di un importante polo ospedaliero afferente a un Ente ospedaliero regionale pugliese.
Ivi la paziente, con diagnosi di “ictus ischemico cerebrale”, veniva sottoposta a diversi esami strumentali. Tra questi, si prevedeva (invero già con qualche ora di ritardo) l’esecuzione di una risonanza magnetica dell’encefalo affiancata dalla singolare dicitura “appena possibile”, che nei fatti veniva eseguita, addirittura, dopo due intere giornate (il 24.05.14) e solo all’esito di una nuova prescrizione del 24.05.14, in sostituzione delle precedente rimasta vana, che qualificava tale esame come “urgente”.
Inoltre, nonostante presso il reparto di neurologia – ove nel mentre la paziente era stata trasferita – fosse individuato un peggioramento clinico, non veniva previsto alcun monitoraggio e controllo per ben diciotto ore, e non veniva prescritta idonea cura farmacologica, così trascurando la possibilità, nota nella letteratura medica, che nelle ore successive all’evento ictale acuto possa svilupparsi in capo al paziente un edema cerebrale.
La mattina del 25.05.14, infatti, la paziente veniva rinvenuta in uno stato ormai critico e non più recuperabile, sicché, ritenuta non più eligibile alla terapia trombolitica e a un intervento chirurgico di trombectomia, dopo alcuni giorni di attesa in uno stadio pre-terminale e pre-agonico in data 31.05.14 la stessa decedeva.
A fronte di quanto accapitato, i familiari della paziente si rivolgevano all’Avv. Luigi Lucente del Foro di Milano per chiedere la tutela dei propri diritti e perché fosse fatta Giustizia alla compianta moglie e madre.
Ottenuta dalla famiglia valutazione specialistica e medico-legale a firma di Professionisti sulla piazza di Milano, l’Avv. Luigi Lucente avanzava formale missiva di richiesta del risarcimento del danno nei confronti della struttura nosocomiale e, parimenti, del medico di reparto che aveva avuta in cura la paziente.
In assenza di concreti riscontri, veniva esperito un tentativo di mediazione avanti all’Organismo di Mediazione Forense del Foro di Trani – condizione di procedibilità ex art. 5 D.Lgs 28/2010 – che tuttavia mostrava del pari esito negativo stante la mancata adesione di entrambi i soggetti invitati.
Di conseguenza veniva introitato un procedimento civile innanzi al Tribunale di Trani, a cui veniva assegnato R.G. n. 5099/2016.
Mediante difese autonome e distinte si costituivano in giudizio sia il nosocomio e sia il sanitario convenuti.
Colà, al cospetto di una combattuta fase costitutiva e istruttoria, l’Organo Giudicante disponeva, come richiesto dalla Difesa dei parenti della vittima, una Consulenza medico-legale d’Ufficio (CTU) con individuazione di periti al di fuori del distretto del Tribunale.
L’esito di tale attività tecnico-consulenziale conduceva, tuttavia, a un approdo ambivalente: da un lato il collegio peritale concludeva che “le attività terapeutiche poste in atto risultano sostanzialmente adeguate e tempestive”, ma, dall’altro, nel corpo del loro elaborato i CTU evidenziavano come l’omessa esecuzione della risonanza magnetica avesse “privato i sanitari di informazioni utili”, e ammettevano che vi fosse un “vuoto di annotazioni sul diario clinico sia medico che infermieristico della durata di circa 18 ore”. Difatti, incomprensibilmente costoro parevano giustificare il tardivo approfondimento strumentale alla stregua di “carenze strutturali” del nosocomio (dando seguito all’indimostrata tesi del sanitario secondo cui il macchinario non avrebbe consentito di eseguire la risonanza magnetica su pazienti intubati come la signora) e, sulla scorta di ciò, di una non meglio definita “impossibilità” dei sanitari di svolgere la propria prestazione, pur stigmatizzando al contempo una “mancanza di organizzazione/attrezzatura idonea” del nosocomio e l’assenza di protocolli condivisi per il trasferimento dei pazienti critici presso altre strutture adeguate. E quanto, invece, all’omesso monitoraggio e controllo durato per circa diciotto ore, gli stessi sostenevano che, pur non risultando traccia alcuna in cartella clinica di tale attività, a loro avviso la paziente doveva ritenersi essere stata “verosimilmente” monitorata e controllata.
A fronte di ciò, nell’interesse dei propri Assistiti l’Avv. Luigi Lucente depositava in Tribunale una istanza finalizzata a ottenere chiarimenti specifici dai CTU e la modifica delle relative conclusioni. Il Giudice accoglieva tale richiesta e fissava all’uopo udienza al 04.07.2022, ove i CTU, tuttavia, nonostante le denunciate criticità e incoerenze non si dimostravano disponibili a modificare il loro intendimento.
Senza rassegnazione, l’Avv. Lucente avanzava dunque nuova istanza al Giudicante, chiedendo il suo diretto intervento anche nella veste di peritus peritorum, e rimarcando l’esistenza, nei meandri dell’approfondimento peritale d’Ufficio, di elementi istruttori discordi rispetto alle relative conclusioni e che, se opportunamente reinterpretati, avrebbero invece consentito di addivenire a una pronuncia di condanna dell’ospedale e del medico. Poneva in risalto, infatti, come non potesse ex se presumersi un monitoraggio della paziente, in assenza di prove in tal senso, e come, ancor meno, potessero scaricarsi sulla paziente le conseguenze del grave ritardo diagnostico e del deficit strutturale e organizzativo comunque riconosciuti dai CTU.
Ritenuta la causa matura per la decisione e letti gli atti conclusivi del procedimento, in data 20.11.23 il Tribunale di Trani pubblicava la sentenza n. 1687/2023 con cui affermava di condividere integralmente le argomentazioni della Difesa dei familiari della vittima, reinterpretava in modo conforme a diritto le risultanze istruttorie affioranti dalle operazioni peritali, e ritenendo responsabili del decesso della paziente la struttura ospedaliera e il sanitario convenuti, li condannava al risarcimento del relativo danno.
Segnatamente, nel provvedimento decisorio si rimproverava ai CTU di aver “singolarmente ipotizzato, in maniera del tutto aprioristica ed indimostrata” l’utilizzo di sistemi di monitoraggio della paziente. Inoltre, con riguardo al tardivo espletamento di una risonanza magnetica statuiva che, in effetti, non poteva rinnegarsi “la sussistenza …di una grave carenza di diligenza e di imperizia… sia da parte della struttura per evidente carenza di adeguata strumentazione, sia da parte del medico che rilevò l’urgenza del detto approfondimento senza curarsi di acclarare che il detto prescritto esame venisse effettivamente effettuato con la rilevata urgenza o che, comunque, venissero adottate misure alternative con carattere di urgenza”. A parer del Giudicante, difatti, in ogni caso non poteva giustificarsi la gestione del caso clinico così come operata dai convenuti. E ciò anche in considerazione del fatto che, a ben vedere e anche a tutto voler concedere, la paziente veniva “persino estubata …già alle ore 13.00 del 23.5.2014” senza che però alcuna risonanza venisse disposta sino al giorno successivo.
Questi elementi hanno impedito – continua il Magistrato, sulla scorta della monografia peritale – “la percorribilità di un eventuale percorso trombolitico e di endoarteriectomia”, precludendo “molto verosimilmente di pervenire ad una diagnosi più tempestiva del severo problema ischemico in atto”. Veniva dunque perpetrata una condotta omissiva che poteva ammettersi “in assenza di altri fattori alternativi… causa dell’evento lesivo” dacché “la condotta doverosa, se fosse stata tenuta, avrebbe impedito il verificarsi dell’evento stesso”.
Conformemente a un solido orientamento giurisprudenziale, la provocazione dell’exitus della paziente veniva ritenuta idonea ad arrecare iure proprio in capo ai familiari un danno non patrimoniale da commisurarsi sulla scorta dell’effettivo legame affettivo, e che vede, quale indice presuntivo, la sussistenza di vincoli di parentela o di coniugio, nonché di una stabile convivenza. Sicché, avendo la Difesa dei familiari fornito ampia deduzione per tabulas (con documentazione anagrafica, fotografica, e non solo) di tale legame, il Tribunale riteneva provato il relativo pregiudizio e, d’effetto, risarciva al marito e ai tre figli quanto di spettanza, oltre rivalutazione monetaria, interessi e il rimborso delle spese peritali, processuali e legali sostenute dagli stessi per ottenere Giustizia. Infine, al marito veniva riconosciuto anche l’integrale rimborso delle spese funerarie sostenute per l’esequie della consorte.
A chiosa di oltre sette anni di procedimento, dunque, il Tribunale di Trani perveniva all’integrale riconoscimento delle ragioni della famiglia della paziente scomparsa, facendo, finalmente, Giustizia.