Con sentenza n. 9453 del 20 luglio 2010 il Tribunale di Milano, Sez. V – Est. Dottor Damiano Spera – ha deciso che la richiesta attorea di risarcimento del danno non patrimoniale subito in occasione del decesso del cane in proprietà della stessa non poteva essere accolta in quanto il danno in esame non rappresenta una lesione di un diritto costituzionalmente protetto.
Nella fattispecie in esame l’attrice conveniva in giudizio il dottor M.M. e il dottor A.B. per sentirli condannare al risarcimento, in via solidale tra loro, di tutti i danni, biologico, morale esistenziale e patrimoniale, da liquidarsi in via equitativa, patiti in occasione del decesso del cane di sua proprietà, avvenuto in data 11.03.2003.
In particolare l’attrice asseriva che, a causa del comportamento illecito dei sanitari convenuti, aveva subito oltre a danni patrimoniali, anche danni morali, “in ragione del coinvolgimento in termini affettivi che la relazione tra uomo e animale domestico comporta e del risultato di completamento e arricchimento della personalità dell’uomo, nonché in ragione dei sentimenti di privazione e di sofferenza psichica indotti dalla morte di “Maya”’…”, danni tutti da liquidarsi in via equitativa.
Il Giudice adito dichiarava la responsabilità dei sanitari convenuti nella produzione dell’evento lesivo occorso in data 11.03.2003, non avendo gli stessi fornito la prova di aver regolarmente adempiuto alla propria obbligazione, nonché la prova che il decesso del cane era da attribuire ad altre cause, tuttavia rigettava le domande di risarcimento danni proposte dall’attrice.
Quanto alla richiesta di risarcimento dei danni patrimoniali, la stessa non veniva accolta perché l’attrice non forniva la prova del danno patrimoniale richiesto: l’attrice, pur producendo la parcella sanitaria esposta, non aveva mai richiesto la risoluzione del contratto e la consequenziale ripetizione della somma pagata.
Anche la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale non veniva accolta.
A tale riguardo l’estensore richiamava due precedenti, ovvero le sentenze della Cassazione n. 2697/2008 e n. 14846/2007.
Precisamente l’estensore rilevava, in primo luogo, che la Cassazione a Sez. unite (sentenza n. 26972/2008) aveva giustamente ritenuto che, nell’ambito del danno non patrimoniale, il riferimento a determinati tipi di pregiudizi, in vario modo denominati (danno morale, danno biologico, danno da perdita del rapporto parentale), risponde ad esigenze descrittive, ma non implica il riconoscimento di distinte categorie di danno.
È compito del giudice accertare l’effettiva consistenza del pregiudizio allegato, a prescindere dal nome attribuitogli, individuando quali ripercussioni negative sul valore-uomo si siano verificate e provvedendo alla loro integrale riparazione.
Inoltre nella citata sentenza la Cassazione a Sezioni Unite, nell’affermare la bipolarità del sistema risarcitorio (danno patrimoniale e non patrimoniale) ha statuito che “il risarcimento del danno patrimoniale da fatto illecito è connotato da atipicità, postulando l’ingiustizia del danno di cui all’art. 2043 c.c. la lesione di qualsiasi interesse giuridicamente rilevante, mentre quello del danno non patrimoniale è connotato da tipicità”, e per l’effetto tale danno è risarcibile, in tutte le ipotesi di reato ex art. 185 c.p., negli altri casi espressamente individuati dal legislatore, nonché “…nei casi in cui sia cagionato da un evento di danno consistente nella lesione di specifici diritti inviolabili della persona“.
In particolare, con riferimento al danno non patrimoniale da morte di un animale di affezione la Corte ha escluso che in tal caso si configuri la lesione di un diritto inviolabile della persona, non ammettendone pertanto il risarcimento.
Così anche la Cassazione, Sez. III, con sentenza n. 14846/2007, richiamata dalle Sezioni Unite, ha statuito che ” la perdita del cavallo… come animale d’affezione, non sembra riconducibile sotto una fattispecie di un danno esistenziale consequenziale alla lesione di un interesse della persona umana alla conservazione di una sfera di integrità affettiva costituzionalmente protetta…“.
Alla luce quindi di tali osservazioni l’estensore rigettava la domanda attorea.
La Sentenza del Tribunale di Milano appare assolutamente condivisibile.
Alla luce dei dettami delle cosiddette “Sentenze di San Martino” (Cassazione – Sez. Unite, 11 novembre 2008, nn. 26972, 26973, 26974, 26975) e degli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali formatisi successivamente alle ridette pronunce per poter configurare un danno non patrimoniale è necessaria la lesione di un bene costituzionalmente rilevante, ed è necessario che tale lesione sia grave (e cioè superi la soglia minima di tollerabilità) e che il danno non sia futile.
Nell’elenco, non esaustivo, dei danni non patrimoniali non risarcibili che le Sezioni Unite hanno stilato rientra anche l’ipotesi della morte dell’animale di affezione.
Il rapporto uomo–animale non può, infatti, annoverarsi tra le attività realizzatrici della persona ex art. 2 della Costituzione in quanto nessuna norma della Costituzione annovera, quale diritto fondamentale ed inviolabile dell’individuo, il diritto alla conservazione del proprio rapporto con l’animale domestico.
In effetti, anche se la legge sotto diversi aspetti tutela gli animali (punendo ad esempio il maltrattamento degli stessi), al momento attuale non esistono argomentazioni valide e convincenti in ordine alla copertura costituzionale del danno non patrimoniale da perdita dell’animale di affezione.
Tutti i precedenti in termini sono nello stesso senso della pronuncia del Tribunale in esame e, anche, il Tribunale di Roma si è pronunciato con sentenza sostanzialmente identica a quella del Tribunale di Milano (cfr. Trib. Roma 19.04.2010)
Da ultimo si segnala la sentenza del Tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi 12.01.2011 -Giudice Levita- che ha deciso la vicenda legata alla morte di un cane volpino che il 30 agosto 2007 era stato azzannato da due cani maremmani lasciati incustoditi dalla proprietaria.
Il proprietario del povero volpino citava in giudizio la proprietaria dei due maremmani chiedendo il ristoro dei danni patrimoniali e morali subiti per la perdita del proprio animale.
Il Giudice ha negato il risarcimento sostenendo che i danni lamentati sono da considerarsi inesistenti.
Quanto al risarcimento dei danni patrimoniali ha evidenziato che non è stata indicata in alcun modo la concreta misura del pregiudizio economico realmente subito, ma sono state usate affermazioni di stile svuotate di effettivo contenuto (es. “gran danno economico patrimoniale”).
Nel nostro sistema il danno patrimoniale – dice il Giudice – non riveste natura punitiva ma va puntualmente provato. La parte avrebbe dovuto in altri termini offrire documentazione a riprova del lamentato pregiudizio.
Quanto agli asseriti danni morali, sulla scorta della giurisprudenza dominante, il Giudice ha ritenuto non sussistere una ingiustizia costituzionalmente qualificata tanto che la perdita da animale d’affezione è stata proprio indicata in maniera esemplificativa, dalle Sezioni Unite, quale risibile prospettazione di pregiudizi suscettivi di alterare il modo di esistere delle persone, unitamente ad altre ipotesi pure ivi elencate (la rottura del tacco di una scarpa da sposa, l’errato taglio di capelli, l’attesa stressante in aeroporto, il disservizio di un ufficio pubblico, l’invio di contravvenzioni illegittime, il maltrattamento di animali, il mancato godimento della partita di calcio per televisione determinato dal black-out elettrico).