Un famoso detto in dialetto milanese recita: “mangiaa al mangiota, beev al bevota, l’è a lavura ch’al barbota!” (mangiare mangia, bere beve, è a lavorare che si lamenta), ed è proprio questo il tema su cui è chiamata ad esprimersi la Suprema Corte di Cassazione nella sentenza n. 12952 del 22 giugno 2016: se il figlio divenuto maggiorenne non collabora nel processo di crescita volto ad ottenere l’indipendenza economica dai genitori, fino a che punto costoro avranno un obbligo di mantenimento nei suoi confronti?!
Nel caso de quo il ricorrente denunciava davanti agli ermellini la “violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, con riferimento agli artt. 147 da parte della Corte di appello di Bari, la quale si era pronunciata in riforma del decreto emesso il 24 febbraio 2012 dal Tribunale di Bari con cui revocava ai figli l’assegno mensile di Euro 929,62 posto in origine a carico del padre in virtù della sentenza di divorzio. La Corte territoriale, infatti, ritenuta non provata la raggiunta indipendenza economica dei discendenti, accoglieva per quanto di ragione il reclamo della madre (che, addirittura, insisteva per ottenere il raddoppio del contributo!), statuendo per il ripristino del contributo.
Il caso di specie è quello di due figli con esperienze e attitudini molto diverse.
Lei (trentatreenne), “dopo aver conseguito nel 2006 la laurea in medicina e l’abilitazione alla professione di odontoiatra, aveva successivamente frequentato una serie di corsi di perfezionamento (da ultimo la specializzazione universitaria quinquennale) conseguendo varie referenze professionali e maturando esperienze lavorative presso studi odontoiatrici”. La stessa, pertanto, doveva essere considerata in grado di reperire un lavoro qualificato confacente al titolo di studio e alle specializzazioni conseguite o intraprese (mentre erroneamente la Corte di appello aveva ritenuto l’attività lavorativa della figlia quale mero praticantato), laddove invece, decidendo di frequentare l’aggiuntivo corso di specializzazione universitaria, aveva, per sua scelta, ulteriormente posticipato l’ingresso nel mondo del lavoro.
Lui (trentenne), “dapprima iscrittosi nell’anno accademico 2001/2002 al corso di laurea in economia e commercio, aveva cambiato indirizzo di studio iscrivendosi nell’anno accademico 2005/2006 al corso di laurea in fisioterapia, senza peraltro conseguire il relativo diploma. Nell’anno 2010/2011 si era iscritto ad un corso di formazione professionale in osteopatia, aperto ai laureati e ai laureandi prossimi al conseguimento della laurea, ma ne aveva pertanto interrotto la frequenza in quanto privo del diploma di laurea”.
In merito a tali circostanze il ricorrente deduce che: “l’obbligo genitoriale di mantenimento del figlio maggiorenne persisterebbe finché il genitore interessato dimostri che il figlio abbia raggiunto l’indipendenza economica (da intendersi quale reperimento di uno stabile lavoro che gli consenta un tenore di vita adeguato e dignitoso), ovvero sia stato posto nelle concrete condizioni per essere autosufficiente e, ciò nondimeno, pur potendo, non si sia attivato almeno per la ricerca seria e concreta di un lavoro adeguato alle sue aspirazioni e al percorso formativo di studi svolto [..]. La persistenza dei presupposti giustificanti l’obbligo genitoriale del mantenimento dei figli maggiorenni dovrebbe essere contemperata secondo criteri di rigore proporzionalmente crescente in rapporto all’età dei figli beneficiari, in modo da escludere che la tutela della prole possa essere protratta oltre ragionevoli limiti di tempo e misura, al di là dei quali si legittimerebbero forme di parassitismo ai danni dei genitori”.
I motivi di ricorso sono fondati.
La Corte di Cassazione condivide in toto quanto dedotto in giudizio dal padre: “La situazione soggettiva del figlio che, rifiutando ingiustificatamente in età avanzata di acquisire l’autonomia economica tramite l’impegno lavorativo e negli studi, comporti il prolungamento del diritto al mantenimento da parte dei genitori, o di uno di essi, non è tutelabile perché contrastante con il principio di auto-responsabilità che è legato alla libertà delle scelte esistenziali della persona, anche tenuto conto dei doveri gravanti sui figli adulti.La Corte d’Appello ha del tutto omesso di esaminare e valutare la persistente condotta inerziale nel percorso di studi e di perseguimento di un obiettivo professionale o tecnico […]Quanto alla figlia, la Corte di Appello non ha dato alcun rilievo al raggiungimento dell’obiettivo professionale perseguito dalla medesima con successo e alla natura esclusivamente personale della scelta successiva di proseguire gli studi oltre l’ordinaria esigenza di specializzazione e pratica successiva alla laurea ed anzi, per quel che emerge inequivocamente dagli atti processuali, di impegnare le proprie energie personali e professionali in prevalenza verso la continuazione degli studi. Intento senz’altro lodevole ma che deve essere accompagnato da un corrispondente impegno verso la ricerca di una o più occupazioni dirette al conseguimento dell’indipendenza economica”.
Tale decisione della Suprema Corte conferma un filone giurisprudenziale in tema di mantenimento dei figli ormai consolidato. Dopotutto, se è vero che le scelte e i problemi dei genitori non devono ricadere sui figli, in tal caso deve essere necessariamente vero anche il contrario.