RAGAZZO PERDE UN RENE a causa del non corretto intervento di pielotomia retrograda. Il Tribunale di Milano condanna il chirurgo e la Casa di Cura a risarcire i danni.
Con atto di citazione a firma dell’avvocato Luigi Lucente, un giovane cliente nel mese di giugno del 2009, ha chiamato in giudizio avanti il Tribunale di Milano il chirurgo e l’Istituto clinico affinché fosse accertata e dichiarata la responsabilità di questi ultimi in ordine agli esiti negativi dell’intervento chirurgico al quale era stato sottoposto in data 4 aprile 2008.
A sostegno della domanda, veniva dedotto : che in data 03.04.2008 il giovane veniva sottoposto a visita, trattenuto e ricoverato presso il reparto di Urologia dell’Istituto Clinico; che in pari data lo stesso veniva visitato dal chirurgo, il quale decideva di sottoporlo, il giorno successivo, ossia il 04.04.2008, ad intervento chirurgico di endopielotomia retrograda, senza tuttavia eseguire in fase pre operatoria e/o intra operatoria esami diagnostici atti a stabilire il decorso della vascolarizzazione dei vasi perirenali e il corretto approccio terapeutico da seguire; che nel corso del ridetto intervento di endopielotomia retrograda al giovane paziente veniva reciso un vaso con conseguente “shock emorragico da versamento ematico perirenale”, in conseguenza del quale alle ore 24.00 del 04.04.2008 veniva sottoposto, sempre presso il medesimo Istituto Clinico, ad intervento di “nefrectomia di salvataggio” del rene sinistro.
In sintesi, dunque, e per parte attrice, l’aver omesso di eseguire esami diagnostici preliminari e il non avere adottato un corretto approccio chirurgico nel corso dell’intervento, hanno senza dubbio causato al paziente le infauste conseguenze emorragiche e, così ,la perdita del rene sinistro alla giovane età di 22 anni, con rischio concreto in itinere di morire.
Il medico operatore a sua difesa ha dichiarato che in realtà avrebbe fatto un ecodoppler preoperatorio dei vasi renali al fine di verificare l’eventuale presenza di vasi anomali sul giunto pielouretrale ma non disponeva del referto in quanto era stato consegnato al paziente e perciò produceva una dichiarazione in giudizio di un collega dello stesso Istituto Clinico che attestava sotto la propria responsabilità di ricordare sia di avere effettuato l’esame sul paziente e anche l’esito dell’accertamento.
Naturalmente, tale documento è stato immediatamente contestato dall’avv. Lucente perché evidentemente privo di dignità. Come specificato non trattavasi, innanzitutto, di un referto, ma di una dichiarazione resa da un collega del convenuto che a distanza di ben 10 mesi dalla presunta effettuazione dell’esame ricordava chiaramente sia il nome del paziente che l’esito dell’esame il che è apparso evidentemente alquanto singolare(!), ma anche perché, se un tale esame fosse stato realmente eseguito, il relativo referto sarebbe stato a suo tempo allegato alla cartella clinica del paziente costituendo –l’esame stesso- il presupposto per poter effettuare l’intervento descritto con tecnica endoscopica e dal momento che, fra l’altro, secondo la stessa dichiarazione prodotta dal medico a sua difesa, il predetto esame sarebbe stato effettuato proprio il giorno prima dell’intervento(!).
Sia i Consulenti nominati dal Tribunale e, così, anche il Giudice non hanno, infatti, tenuto conto della dichiarazione prodotta dal medico.
Il medico convenuto, inoltre, nella propria difesa ha aggiunto: “…[ poiché] sembra quasi che l’attore ( paziente) si dolga di essere stato operato in assenza di ragioni di urgenza: l’intervento venne praticato in quanto, pur non sussistendo ragioni d’urgenza, neppure sussisteva alcuna ragione, di alcun genere, perché fosse opportuno o necessario rinviarlo … “ e ha concluso, precisando che: “ E’ appena il caso di sottolineare che la perdita di un rene non inibisce, a chi la subisca, la possibilità di mantenere una condizione di vita assolutamente normale.”
Con la sentenza del 15.05.2014 n. 6380/2014 il Tribunale di Milano, Sezione V Civile, ha accolto la tesi difensiva esposta dall’ Avv.to Luigi Lucente in favore del proprio assistito motivando in questi termini: “… nel merito i ctu nominati, effettuata accurata analisi dell’anamnesi prossima ed esaminate le ct di parte, hanno svolto ampie considerazioni cliniche e medico-legali sul caso, per concludere che il trattamento clinico, che portò alla prima operazione per via endoscopica, di “pielotomia retrograda”, non fu condotto, dalla fase diagnostica preoperatoria fino alla fase chirurgica, in maniera corretta.
L’intervento predetto era indicato per la patologia diagnosticata (stenosi del giunto pieloureterale sinistro … ), ma non fu eseguito a regola d’arte.
I ctu hanno in particolare sottolineato che, prima di optare per l’intervento endoscopico, sarebbe stato più prudente effettuare ulteriori accertamenti diagnostici strumentali, al fine di avere la più completa nozione anatomica della regione operatoria.
Le complicanze emorragiche in questo tipo di interventi si verificano infatti per lesione di arterie o vene decorrenti in prossimità del giunto pielo uretrale. Sarebbe stata perciò consigliata l’esecuzione di arteriografia o altro esame di imaging; ciò avrebbe consentito di sostituire l’intervento in via endoscopica con un intervento a cielo aperto o in laparoscopia per una migliore visione e preservazione delle strutture.
Inoltre i ctu hanno rilevato che le condizioni generali del soggetto avrebbero permesso di differire il trattamento, con possibilità di effettuare esami (scintigrafia renale sequenziale) orientali a stabilire la funzione renale separata.
In definitiva la metodica endoscopica comportò il sezionamento della porzione ristretta della via pieloureterale urinaria con energia diatermica sotto visione diretta interna e la complicanza gravemente emorragica costituì l’evoluzione clinica e quindi la conseguenza di tale manovra, con ogni probabilità incongrua, tale da provocare lesioni meccaniche.
Quanto al secondo intervento, di nefrectomia, effettuato d’urgenza, da considerare irrinunciabile, per salvare la vita del paziente, fu eseguito a regola d’arte.
Il sacrificio del rene … fu la conseguenza del non corretto intervento di pielotomia retrograda e pertanto il relativo danno biologico redisuato è da imputare ai due convenuti, sanitario e struttura.
Delle conseguenze dannose subite da … devono rispondere entrambi i convenuti, il dott. … quale chirurgo operatore, e l’Istituto … , quale titolare di autonomo rapporto (contratto di spedalità).
Come ha più volte rilevato la suprema Corte (Cass, da n. 589/99 a n. 577/08), il rapporto tra la struttura sanitaria ed il paziente si instaura indipendentemente dal vincolo di dipendenza o meno del medico curante, con la conseguenza che l’Istituto [ clinico] risponde comunque in proprio, ex art. 1228 cc, del fatto del proprio ausiliario, pur non dipendente, in quanto, come contraente, non ha fornito la prova del proprio adempimento.
Considerata l’età del [ paziente] all’epoca del fatto, di circa 21 anni, e la personalizzazione, in ragione delle limitazioni imposte al suo stile di vita, in specie per facile stancabilità e mal di schiena frequente, gli viene attribuita, a titolo di invalidità permanente, quale danno non patrimoniale, la somma di €. 50.000,00, ai valori attuali. …”