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Pubblicato sul sito www.7giorni.info

Gentile Avvocato,
qualche tempo fa, rientrando a casa dal lavoro, ho trovato che dal soffitto della sala scendeva acqua che aveva già abbondantemente bagnato i mobili, i tappeti e il pavimento in parquet. Sono salito immediatamente al piano di sopra, dove si stavano svolgendo lavori di ristrutturazione, e il proprietario ha accusato l’impresa incaricata di avere inavvertitamente lasciato la pompa dell’acqua aperta. Pur avendo mandato una lettera con tutti i preventivi nessuno mi ha ancora pagato. Cosa posso fare?
Walter

 per rispondere al suo quesito è necessario chiamare ancora una volta in causa l’art. 2051 del Codice Civile, di cui avevamo già avuto modo di occuparci nelle scorse settimane esaminando il concetto di “insidia stradale”. Pur trattandosi di fattispecie assai diverse, infatti, anche in questo caso come in quello di cui ci aveva parlato la gentile lettrice Daniela, la responsabilità per i danni provocati a terzi è di colui che ha il dovere di vigilanza e di custodia della “cosa” che, materialmente, li ha determinati. E non a caso, il suo primo impulso – correttamente – è stato quello di rivolgersi al proprietario dell’immobile in cui si è verificato l’allagamento e che ha dato origine all’infiltrazione in casa sua.
Una volta escluso che il danno derivi da impianti condominiali, il danneggiato, infatti, può senz’altro agire verso il proprietario dell’appartamento sovrastante (se non locato, né dato in comodato) senza preoccuparsi di dover individuare né l’esatta causale né la dinamica del fenomeno, rimanendo a carico di quest’ultimo anche la causa ignota (Giudice di Pace di Monza, 5 gennaio 1999 in De Jure on Line 2011).
Nella variegata tematica delle “infiltrazioni”, tuttavia, può accadere, come nel suo caso, che il proprietario declini la propria responsabilità, invocando quella del terzo, quale può essere l’impresa appaltatrice di lavori di ristrutturazione.
Il Tribunale di Venezia che, con una sentenza del 28 marzo 1997, ha esaminato proprio un caso analogo al suo, e cioè il caso del proprietario di un appartamento che cita in giudizio il vicino, per vedersi risarcito dei danni cagionati da infiltrazioni di acqua provenienti dall’appartamento del piano superiore e cagionate dal rubinetto lasciato aperto, in tale ipotesi, ha ritenuta valida la difesa del convenuto che aveva dedotto e provato di aver affidato l’immobile a un’impresa di manutenzione e restauro, in possesso di tutti i requisiti e autorizzazioni di legge, i cui operai si erano resi responsabili dell’allagamento.
Un insegnamento, ancora oggi molto attuale e ribadito in svariate pronunce sia di legittimità (Cfr. Corte di Cassazione  27 maggio 2011 n. 11757) sia di merito.
Facendomi portavoce di una personale esperienza, mi permetto di annoverare fra queste ultime anche la recentissima sentenza n. 14787/2011, emessa – a conclusione di un procedimento seguito dal mio studio – dal Tribunale di Milano, nella persona della Dott.ssa Filippi, che, appunto, ha riconosciuto quale caso fortuito idoneo ad esonerare da responsabilità il primario custode la prova che l’evento dannoso era stato cagionato in via esclusiva dal comportamento del terzo.
Nel suo caso, comunque, di fronte all’indifferenza, dei suoi interlocutori e all’incertezza dell’effettiva causa del danno (che, a quanto desumo dalla sua lettera, è stata solo “riferita” e non accertata come sicuramente imputabile alla ditta appaltatrice, ad esempio, da un verbale delle autorità eventualmente intervenute nelle immediatezze dei fatti) nonché in virtù di quel principio cristallizzato da altrettanta importante giurisprudenza (05/19474; 01/5609; 96/5007)per cui “nel caso di appalto che non implica il totale trasferimento all’appaltatore del potere di fatto sull’immobile, nel quale deve essere eseguita l’opera, per il detentore dell’immobile stesso, che continua ad esercitare siffatto potere, non viene meno il dovere di custodia e pertanto nemmeno la correlativa responsabilità”, il mio consiglio è quello di rivolgersi a un legale affinché depositi presso il Tribunale di competenza un ricorso c.d. per “accertamento tecnico preventivo” di cui agli artt. 696 e 696 bis del codice di procedura civile.
Si tratta, in parole povere, di un’istanza con cui, spiegate le circostanze, si chiede al Giudice di nominare un Consulente che abbia delle precise competenze tecniche (in questo caso magari un geometra o un architetto) per valutare la situazione in cui si trova il suo appartamento, individuare le cause effettive dell’infiltrazione e per quantificare i danni (anche sulla base dei preventivi, di cui mi ha scritto – per l’arredamento, le parti murarie, il parquet, etc. – che andranno allegati alla ridetta istanza e verranno esaminati dal Consulente).
Orbene, tale procedura – in cui, a mio parere dovranno essere coinvolti, certamente, il proprietario dell’appartamento soprastante e, se possibile, anche l’impresa di ristrutturazione, qualora ne conosca il nome e/o la ragione sociale – presenta notevoli vantaggi, consentendo di ottenere nel giro di pochi mesi, una relazione di un perito super partes alla cui redazione  vengono posti in condizione di partecipare tutti i soggetti interessati e/o eventualmente responsabili.
Orbene, per la mia personale esperienza professionale, posso dirLe che tali elaborati – offrendo una conoscenza anticipata sul possibile esito della futura causa – rendono molto più semplice il raggiungimento di un accordo  con la/e controparte/i prima dell’apertura del giudizio di merito.
Anzi, qualora dovesse optare per la forma di accertamento tecnico preventivo previsto dall’art. 696 bis c.p.c., proprio il Consulente nominato dal Giudice avrà il potere/dovere di tentare la conciliazione fra le parti sulla base delle risultanze delle indagini esperite.
Tuttavia, anche nella denegata ipotesi in cui tale procedura non dovesse dare l’immediato esito sperato, e cioè quella di una definizione relativamente rapida con il riconoscimento di un giusto risarcimento in suo favore, l’elaborato così formato – redatto cioè consentendo a tutti di parteciparvi e, quindi, agli stessi opponibile in causa – avrà, in ogni caso, un ruolo molto importante nel successivo giudizio (in cui si chiederà venga acquisito), consentendole, peraltro, nel frattempo – se vuole – di far eseguire i lavori di risistemazione del suo appartamento, senza dover attendere l’esito del processo, che, certamente, giungerà a distanza di un bel po’ di tempo.
Prima di concludere, mi permetto solo una precisazione, che ritengo utile visto che, dal tenore della sua lettera, non ho colto se ella sia il proprietario ovvero il conduttore dell’appartamento di cui parla: in ipotesi consimili, non è necessario essere proprietario di casa per ottenere giustizia.
Come ripetutamente chiarito dalla Suprema Corte di Cassazione, infatti, l’infiltrazione di acqua da immobile soprastante concreta molestia di fatto, per la quale, l’art. 1585, secondo comma, C.C. conferisce al conduttore una legittimazione autonoma per proporre l’azione di responsabilità nei confronti dell’autore del danno e che tale legittimazione non riguarda solo i danni causati agli arredi o ai mobili, ma si estende a tutto ciò che sia oggetto del godimento stesso, quindi anche alle strutture murarie dell’appartamento che sono state danneggiate, pur non essendo di sua proprietà (Cfr. ex multis: Cass. Civ. 07.02.2006 n. 2530; Cass. Civ. 24.11.2005 n. 24805; Cass. Civ. 20.082003 n. 1220; Cass. Civ. 20.12.1990 n. 12089; Trib. Napoli, Sez. XI, ordinanza 3 ottobre 2006).
Gentile Sig. Walter,
per rispondere al suo quesito è necessario chiamare ancora una volta in causa l’art. 2051 del Codice Civile, di cui avevamo già avuto modo di occuparci nelle scorse settimane esaminando il concetto di “insidia stradale”. Pur trattandosi di fattispecie assai diverse, infatti, anche in questo caso come in quello di cui ci aveva parlato la gentile lettrice Daniela, la responsabilità per i danni provocati a terzi è di colui che ha il dovere di vigilanza e di custodia della “cosa” che, materialmente, li ha determinati. E non a caso, il suo primo impulso – correttamente – è stato quello di rivolgersi al proprietario dell’immobile in cui si è verificato l’allagamento e che ha dato origine all’infiltrazione in casa sua.
Una volta escluso che il danno derivi da impianti condominiali, il danneggiato, infatti, può senz’altro agire verso il proprietario dell’appartamento sovrastante (se non locato, né dato in comodato) senza preoccuparsi di dover individuare né l’esatta causale né la dinamica del fenomeno, rimanendo a carico di quest’ultimo anche la causa ignota (Giudice di Pace di Monza, 5 gennaio 1999 in De Jure on Line 2011).
Nella variegata tematica delle “infiltrazioni”, tuttavia, può accadere, come nel suo caso, che il proprietario declini la propria responsabilità, invocando quella del terzo, quale può essere l’impresa appaltatrice di lavori di ristrutturazione.
Il Tribunale di Venezia che, con una sentenza del 28 marzo 1997, ha esaminato proprio un caso analogo al suo, e cioè il caso del proprietario di un appartamento che cita in giudizio il vicino, per vedersi risarcito dei danni cagionati da infiltrazioni di acqua provenienti dall’appartamento del piano superiore e cagionate dal rubinetto lasciato aperto, in tale ipotesi, ha ritenuta valida la difesa del convenuto che aveva dedotto e provato di aver affidato l’immobile a un’impresa di manutenzione e restauro, in possesso di tutti i requisiti e autorizzazioni di legge, i cui operai si erano resi responsabili dell’allagamento.
Un insegnamento, ancora oggi molto attuale e ribadito in svariate pronunce sia di legittimità (Cfr. Corte di Cassazione  27 maggio 2011 n. 11757) sia di merito.
Facendomi portavoce di una personale esperienza, mi permetto di annoverare fra queste ultime anche la recentissima sentenza n. 14787/2011, emessa – a conclusione di un procedimento seguito dal mio studio – dal Tribunale di Milano, nella persona della Dott.ssa Filippi, che, appunto, ha riconosciuto quale caso fortuito idoneo ad esonerare da responsabilità il primario custode la prova che l’evento dannoso era stato cagionato in via esclusiva dal comportamento del terzo.
Nel suo caso, comunque, di fronte all’indifferenza, dei suoi interlocutori e all’incertezza dell’effettiva causa del danno (che, a quanto desumo dalla sua lettera, è stata solo “riferita” e non accertata come sicuramente imputabile alla ditta appaltatrice, ad esempio, da un verbale delle autorità eventualmente intervenute nelle immediatezze dei fatti) nonché in virtù di quel principio cristallizzato da altrettanta importante giurisprudenza (05/19474; 01/5609; 96/5007)per cui “nel caso di appalto che non implica il totale trasferimento all’appaltatore del potere di fatto sull’immobile, nel quale deve essere eseguita l’opera, per il detentore dell’immobile stesso, che continua ad esercitare siffatto potere, non viene meno il dovere di custodia e pertanto nemmeno la correlativa responsabilità”, il mio consiglio è quello di rivolgersi a un legale affinché depositi presso il Tribunale di competenza un ricorso c.d. per “accertamento tecnico preventivo” di cui agli artt. 696 e 696 bis del codice di procedura civile.
Si tratta, in parole povere, di un’istanza con cui, spiegate le circostanze, si chiede al Giudice di nominare un Consulente che abbia delle precise competenze tecniche (in questo caso magari un geometra o un architetto) per valutare la situazione in cui si trova il suo appartamento, individuare le cause effettive dell’infiltrazione e per quantificare i danni (anche sulla base dei preventivi, di cui mi ha scritto – per l’arredamento, le parti murarie, il parquet, etc. – che andranno allegati alla ridetta istanza e verranno esaminati dal Consulente).
Orbene, tale procedura – in cui, a mio parere dovranno essere coinvolti, certamente, il proprietario dell’appartamento soprastante e, se possibile, anche l’impresa di ristrutturazione, qualora ne conosca il nome e/o la ragione sociale – presenta notevoli vantaggi, consentendo di ottenere nel giro di pochi mesi, una relazione di un perito super partes alla cui redazione  vengono posti in condizione di partecipare tutti i soggetti interessati e/o eventualmente responsabili.
Orbene, per la mia personale esperienza professionale, posso dirLe che tali elaborati – offrendo una conoscenza anticipata sul possibile esito della futura causa – rendono molto più semplice il raggiungimento di un accordo  con la/e controparte/i prima dell’apertura del giudizio di merito.
Anzi, qualora dovesse optare per la forma di accertamento tecnico preventivo previsto dall’art. 696 bis c.p.c., proprio il Consulente nominato dal Giudice avrà il potere/dovere di tentare la conciliazione fra le parti sulla base delle risultanze delle indagini esperite.
Tuttavia, anche nella denegata ipotesi in cui tale procedura non dovesse dare l’immediato esito sperato, e cioè quella di una definizione relativamente rapida con il riconoscimento di un giusto risarcimento in suo favore, l’elaborato così formato – redatto cioè consentendo a tutti di parteciparvi e, quindi, agli stessi opponibile in causa – avrà, in ogni caso, un ruolo molto importante nel successivo giudizio (in cui si chiederà venga acquisito), consentendole, peraltro, nel frattempo – se vuole – di far eseguire i lavori di risistemazione del suo appartamento, senza dover attendere l’esito del processo, che, certamente, giungerà a distanza di un bel po’ di tempo.
Prima di concludere, mi permetto solo una precisazione, che ritengo utile visto che, dal tenore della sua lettera, non ho colto se ella sia il proprietario ovvero il conduttore dell’appartamento di cui parla: in ipotesi consimili, non è necessario essere proprietario di casa per ottenere giustizia.
Come ripetutamente chiarito dalla Suprema Corte di Cassazione, infatti, l’infiltrazione di acqua da immobile soprastante concreta molestia di fatto, per la quale, l’art. 1585, secondo comma, C.C. conferisce al conduttore una legittimazione autonoma per proporre l’azione di responsabilità nei confronti dell’autore del danno e che tale legittimazione non riguarda solo i danni causati agli arredi o ai mobili, ma si estende a tutto ciò che sia oggetto del godimento stesso, quindi anche alle strutture murarie dell’appartamento che sono state danneggiate, pur non essendo di sua proprietà (Cfr. ex multis: Cass. Civ. 07.02.2006 n. 2530; Cass. Civ. 24.11.2005 n. 24805; Cass. Civ. 20.08.2003 n. 1220; Cass. Civ. 20.12.1990 n. 12089; Trib. Napoli, Sez. XI, ordinanza 3 ottobre 2006).