Già in passato s’era toccato l’argomento dell’inefficace/dannosa prestazione sanitaria atta a legittimare la richiesta del paziente di restituzione del compenso versato. In particolare, il tema era stato affrontato sulla scorta di un precedente caso dello Studio Legale in materia odontoiatrica (qui il link: se un DENTISTA sbaglia a eseguire l’intervento odontoiatrico …). Tuttavia, l’episodio qui in commento si distingue e risulta di particolare interesse sia per la peculiarità della branca medica coinvolta, ossia quella della chirurgia estetica, e sia per i plurimi passaggi processuali si sono susseguiti (ben tre diversi procedimenti giudiziali).
La vicenda medica della paziente originava nell’autunno del 2016, quando questa si rivolgeva allo studio medico di un chirurgo plastico di zona per la risoluzione di problemi disfunzionali ed estetici del naso.
Eseguiti gli esami pre-operatori richiesti dal sanitario, la paziente veniva ricoverata in struttura e lì veniva sottoposta, per mano dello stesso, a intervento chirurgico di “settoplastica secondaria e rinoplastica open”, come recita la cartella clinica.
Il decorso post operatorio per la paziente si rivelò tuttavia una vera odissea. Al primo controllo successivo presso l’ambulatorio privato del chirurgo alla paziente veniva estratto solo uno dei due tamponi nasali lasciati in sede operatoria, ricevendo lei l’indicazione di rimuovere autonomamente l’altro, a casa, a distanza di qualche giorno. La paziente, pertanto, così provvedeva a fare, ma all’atto della rimozione si verificava una marcata epistassi che rendeva necessario il trasporto in ambulanza presso il pronto soccorso di zona. Ivi la paziente collassava e si rendeva addirittura necessario l’intervento del rianimatore, per poi procedersi in urgenza a intervento di causticazione volto a far cessare l’emorragia. Fortunamente la paziente si salvava, ma, in ragione dell’importante perdita ematica e del rischio corso, rimaneva ricoverata presso la ridetta struttura per sette giorni.
In capo alla paziente residuavano importanti esiti cicatriziali, sintomatologia algica e difficoltà respiratoria nasale: deficit estetici e funzionali che imponevano un intervento di revisione per “chirurgia di correzione della stenosi cicatriziale”.
A questo punto la signora, scoraggiata, si rivolgeva allo Studio Legale Lucente, ove veniva seguita dagli Avv. Luigi Lucente e Simona Tesolin.
Su indicazione dei legali, la paziente contattava le figure di un medico-legale e di un medico specialista in chirurgia plastica e ricostruttiva affinché, nella veste di Consulenti Tecnici di Parte, costoro valutassero la sussistenza di eventuali profili di responsabilità medica e, se riscontrati, quantificassero il danno alla salute e patrimoniale scaturito sulla sua persona.
Dall’approfondimento tecnico dei Periti di parte affiorava come la paziente avesse riportato risultati del tutto insoddisfacenti, con conseguente danno, e a monte veniva censurato il comportamento del chirurgo plastico “per non aver eseguito alcun tipo di studio preoperatorio della piramide nasale in una chirurgia secondaria su esiti con finalità sia funzionali che estetiche”, e, fra l’altro, “per aver posto indicazione ad una autorimozione dei tamponi nasali in ambiente domestico da parte della paziente”.
A quel punto la paziente, conferito formale incarico agli Avv.ti Lucente e Tesolin, loro tramite ricorreva ex art. 696 bis c.p.c. al Tribunale di Pavia (R.G. n. 7221/2017) per veder eseguita una Consulenza Tecnica d’Ufficio – ossia una relazione svolta da Periti del Tribunale – che sancisse la responsabilità del chirurgo plastico e quantificasse il pregiudizio che le era stato provocato. Si tratta di un procedimento giudiziale che prende il nome di Consulenza Tecnica Preventiva – concludendosi non con un provvedimento decisorio del Tribunale, ma con la sola perizia dei Consulenti Tecnici incaricati – ed è imposto quale condizione di procedibilità ex art. 8 L. 24/2017.
All’esito di tale procedura il Collegio dei periti del Tribunale composto da medico legale e specialista in chirurgia plastica dava sostanzialmente ragione alle lamentele della paziente, stabilendo in particolare che: “Gli esiti attualmente apprezzabili a margine dell’intervento del 01.12.16 si identificano in una prevalente alterazione morfo-strutturale a livello del dorso del naso non adeguatamente corretta e trattata chirurgicamente in relazione a un non ottimale innesto cartilagineo”. Anche la prescrizione di rimuovere da sola a casa il tampone nasale veniva fortemente censurata, in quanto “può essere necessario un nuovo tamponamento nasale anteriore, raramente anche posteriore” e “può essere necessaria una cauterizzazione sotto anestesia”. Alla paziente, inoltre, veniva riconosciuto un danno iatrogeno alla salute dettato dal nocumento funzionale ed estetico subito e dai disagi e le cure a cui nei giorni successivi aveva dovuto sottostare.
Con ricorso ex art. 702 c.p.c. veniva così incardinata dalla paziente una procedura con rito sommario, sempre d’innanzi al Tribunale di Pavia, mirata questa volta a ottenere un provvedimento di condanna al risarcimento del danno: procedimento, questo, che veniva convertito in rito ordinario e in cui, su richiesta della Difesa della paziente, veniva acquisito il fascicolo della precedente procedura di Consulenza Tecnica Preventiva ex art. 696 bis c.p.c..
Nel frattempo, però, il chirurgo plastico citato in giudizio adiva il Giudice di Pace di Pavia, con ricorso per decreto ingiuntivo, richiedendo la condanna della paziente al pagamento del suo compenso per la prestazione sanitaria resa, e ottenendo l’emissione del relativo decreto ingiuntivo n. 992/2017 per € 4.500,00 oltre interessi e spese legali. Oggetto di questo ulteriore e terzo giudizio era, dunque, il diritto del chirurgo plastico di ottenere il pagamento delle proprie competenze per l’intervento chirurgico eseguito e per le attività connesse.
Incaricati anche per questo procedimento i legali Avv.ti Luigi Lucente e Simona Tesolin, la paziente si opponeva a tale ingiunzione di pagamento del chirurgo, notificando opposizione a decreto ingiuntivo.
In pendenza di questo ulteriore giudizio terminava però il procedimento davanti al Tribunale di Pavia mirato alla condanna al risarcimento del medico. Con sentenza n. 297/2020 del 20.02.2020 il Tribunale di Pavia dava ragione alle pretese della paziente e condannava il sanitario al pagamento della corrispondente somma a titolo risarcimento del danno.
Rimaneva tuttavia da decidere il giudizio d’innanzi al Giudice di Pace di Pavia per la richiesta di compensi avanzata dal dottore, ove nel frattempo la Difesa della paziente aveva prodotto, fra l’altro, la descritta sentenza del Tribunale di Pavia che inchiodava il chirurgo alle sue responsabilità.
In quella sede i legali dello Studio Lucente facevano valere il principio secondo cui, d’innanzi alla contestazione della paziente che denunciava un inadempimento del sanitario non di scarsa importanza, costui aveva l’onere di dimostrare di aver eseguito la prestazione sanitaria in modo diligente, prudente e perito (oppure che il verificarsi delle conseguenze pregiudizievoli in capo alla paziente fosse dipeso da eventi imprevedibili o inevitabili) per giustificare la bontà del suo operato, e così, di conseguenza, di vantare un diritto al relativo compenso. Ed essendo che, al contrario, al termine dell’istruttoria non solo costui non aveva dimostrato nulla di tutto ciò, ma, anzi, dagli atti emergeva la sussistenza di sue gravi responsabilità – così come individuate nella Consulenza Tecnica d’Ufficio e nella seguente sentenza del Tribunale di Pavia – il suo diritto alla controprestazione, e, quindi, al pagamento dell’onorario, si dimostrava insussistente, in forza del principio per cui in caso di prestazione inadempiente e fin dannosa viene meno il diritto del prestatore di ricevere la propria controprestazione.
Con la sentenza n. 343/21 del 26.07.21 il Giudice di Pace di Pavia accoglieva la tesi della paziente e così statuiva: “in atti è stata prodotta la sentenza … ove si legge che il collegio peritale nominato d’ufficio dal giudice «ha ravvisato condotta colposa del … (sanitario, n.d.r.) nonché il nesso di causalità tra tale condotta e il pregiudizio fisico subito … (dalla paziente, n.d.r.)» e, sulla base di tale perizia, il Tribunale ha condannato il sanitario al risarcimento dei danni alla persona patiti dalla paziente, come accertati con la Consulenza medico-legale”. “Pertanto si deve ritenere dimostrato l’inesatto adempimento della prestazione professionale posta in essere dal convenuto”. Difatti – prosegue il Giudice pavese – il chirurgo plastico “non ha assolto all’onere probatorio incombente di dimostrare la fondatezza del credito azionato in sede monitoria e, conseguentemente, si deve procedere alla revoca del decreto ingiuntivo”.
Per questi motivi il Giudice di Pace di Pavia: “accerta e dichiara che nulla è dovuto” dalla paziente al medico; “per l’effetto, revoca il decreto ingiuntivo” richiesto dal sanitario; e “condanna … (il chirurgo, n.d.r.) alla rifusione delle spese di lite”.
In questo modo, dunque, la paziente otteneva, da un lato, il ristoro per i danni subiti, e, dall’altro, l’accertamento che nulla era da lei dovuto al chirurgo a titolo di compensi.
Quest’ultima decisione si uniforma a un condivisibile filone giurisprudenziale – fra i cui più recenti arresti si annoverano: Trib. Napoli, sez. VIII civ., 13.09.2021, n. 7328; Trib. Rieti, sez. civ, sentenza 20.11.19 Dott.ssa Sbarra; Trib. Milano, sentenza n. 13382/2016; Trib. Pisa, sentenza n. 371/2016; C.d.Appello Milano, sentenza n. 643/2015 – che valorizza la natura contrattuale del rapporto medico e stabilisce che in tale contesto la prestazione medico-sanitaria, se infausta e priva di vantaggio per il paziente, delegittima la controprestazione del pagamento dei compensi, i quali, quindi, potranno non essere corrisposti e, se già pagati, dovranno essere restituiti.